Tutto da rifare


E’ facile dire così quando il da rifare è una cosa semplice, come ad esempio l’errore di impostazione di un problema algebrico. Trovato l’errore si ricomincia da capo, si “imposta” l’equazione giusta e si risolve il problema. Ma si tratta di una vita della quale si è sbagliato l’impostazione; come si deve fare?

Troppo comodo sarebbe ritornare fanciullo dopo ventotto anni di vita, dopo aver scoperto l’errore, dopo avere “aperto gli occhi”.

Troppo comodo! Il passato non si distrugge e non si dimentica.

Io ero “l’Incosciente” e divenni “cosciente” dopo due anni e mezzo di prigionia.

Nella limpida mattina estiva, il “picchio” batte il becco con rumore simile ad arma automatica sul tronco vuoto di un albero. Lo scoiattolo saltella su di un altro tronco abbattuto, rizzandosi a tratti sulla grossa coda. La fluttuante chioma degli alberi mossa dalla lieve brezza mattutina si stende all’infinito.

Sono i boschi dell’Arkansas.

La monotonia verde degli alberi però è spezzata a un tratto da una piccola e moderna città. E’ racchiusa da un grande quadrato di reticolato, punteggiato a intervalli da torrette di legno irte di mitraglie e di fari. Nell’interno del quadrato sorgono tante piccole baracche oblunghe, simmetricamente costruite. Gli intervalli fra di esse sono solcati da piccole stradette che si diramano da quattro strade più grandi. Alberi fronzuti gettano qualche tratto d’ombra sugli spiazzi e sui tetti catramati delle baracche. Piccoli giardinetti e aiuole lussureggianti di fiori multicolori rallegrano la vita degli abitanti di quel villaggio.

Campi di tennis, bocce, pallacanestro, pallavolo sorgono nelle radure più grandi.

E’ un campo di Ufficiali Italiani prigionieri di guerra. E’ il campo dove io sono detenuto e dove io da più di due anni trascino l’esistenza.

In quel luogo le lunghe meditazioni dell’io mio prigioniero mi rivelarono obiettivamente le fasi errate della mia vita. Il dolore, le ansie, la segregazione dal mondo affinarono il mio spirito al punto di farmi ragionare, di farmi chiedere il perché delle mie sofferenze. Sono arrivato all’assoluto: Non esiste la fede, esiste soltanto la fiducia in me stesso, esiste soltanto il mio gretto egoismo.

Solo istinti atavici ed umani mi tengono legati con un filo d’amore persone care lontane:
alla mamma, che a volte aveva tentato di farmi capire;
all’Eletta, che con la sua fedeltà mi fa pensare alla vita non solo come dolore;

Una figura invisibile mi indica con la mano tesa la strada per la ricostruzione del distrutto, è la memoria di mio Padre che si presenta nei miei ricordi con “l’esempio” della sua vita.