
La caratteristica più evidente, per me di questo libro è la forma della narrazione, ancora prima dei contenuti e delle storie. Dico storie, al plurale, perché ho avuto la sensazione che invece che un unico romanzo si trattasse di tre racconti che si intrecciano solo casualmente nella collocazione di una palazzina a tre piani.
Gli inquilini non interagiscono praticamente mai l’uno con l’altro e anche se si incontrano non producono un cambiamento nella loro storia. Anzi spesso evitano di incontrarsi, fuggono il contatto come quando Dovra, l’inquilina del terzo piano scende per cercare aiuto «…una frazione di secondo prima di bussare, ho sentito una voce maschile, e le mie dita si sono bloccate quando stavo per toccare la porta. Non per quello che diceva. La maggior parte delle parole erano incomprensibili, aldilà della porta blindata, era il tono… Mi era bastato ho ritirato la mano e girato i tacchi.». E così succede anche per altri incontri che praticamente non ci sono.
Dicevo che quello che mi ha colpito è la forma della narrazione, tutti e tre i protagonisti raccontano la loro storia rivolgendosi a qualcun altro, non un interlocutore generico, ma qualcuno o qualcosa di reale, almeno per loro.
Harnon del primo piano racconta a un ipotetico amico che incontra al ristorante quello che è successo in seguito a un episodio che lo ha messo in una situazione per lui insostenibile. La figlioletta, affidata a una coppia di vicini sparisce per qualche ora e il padre non riesce a tollerare il sospetto che il marito della vicina, chiaramente malato di demenza senile, possa aver abusato della bambina. In lui si scatenano tutte le pulsioni e gli istinti, l’”es” freudiano, ciò che c’è di più basso in noi prende il sopravvento sulla ragione fino alla rottura con la moglie e la distruzione di ciò per cui ha vissuto fino ad allora.
Hani al secondo piano in una lunghissima lettera a un’amica cerca di conciliare il desiderio di una vita migliore con la realtà di una solitudine imposta dalle frequenti assenza del marito. Soprannominata “la vedova” da Harnon riesce però a sognare – o a vivere – una fuga romantica col fratello del marito assente. Il suo Io media tra pulsioni erotiche e l’esigenza sociale di essere una madre e una moglie. La partenza del cognato, ma c’è mai stato un arrivo? la riporta alla vita reale, finalmente accettata e con possibilità di cambiamento.
Infine Dovra “la giudice” che parla con la segreteria telefonica in cui è inciso un messaggio del marito defunto, incarna ciò che viene introiettato nell’assunzione di codici di comportamento derivati dalla società e dalla famiglia. Ciò che è bene e ciò che è male in una separazione duale tra bianco e nero, bene e male. Dovrà riuscirà a uscire dagli schemi, capirà che la sua vita può essere una infinita tonalità di grigio e imparerà a godere di quello che la vita le porge senza farsi troppe domande.
I tre personaggi si rivolgono ai loro interlocutori: amico, lettera e segreteria telefonica come se fossero sul lettino di un analista che ascolta, ma non interviene, proprio come succede nelle analisi freudiane.
Da soli dovranno trovare le risposte, per uscire dall’impasse delle circostanze che li hanno portati a interrogarsi e da soli dovranno proseguire nel loro percorso di crescita.
L’ambientazione del romanzo – o dovrei dire dei racconti – è molto lontano dalla mia esperienza. Ambientato in Israele racconta di una terra molto lontana dal mio vissuto, ma comunque rende bene l’idea del luogo in cui avvengono i fatti. Il testo fa molti riferimenti a istituti e tradizioni peculiari di quel paese, come la leva obbligatoria e universale, i kibbutz, il sistema giudiziario ecc.

Molto bella ed evocativa la descrizione della palazzina in cui sono ambientate le storie «Le piante perfettamente potate all’ingresso. Il citofono appena rinnovato. Le caselle della posta, nemmeno una rotta. Nessuna con più di due cognomi. Le biciclette sorprendentemente ordinate. Sorprendentemente legate. Il silenzio che tanto ci piaceva. […] Un’isola di pace, chiamavo sorprendentemente la nostra periferia. In quel momento mi è apparsa un’isola di ottusità e di conservatorismo… abbiamo vissuto nel Borghesistan.»
Nel complesso un libro che si legge facilmente e se Dovra stessa, inquilina del terzo piano, non tirasse in ballo le teorie freudiane non ci si penserebbe nemmeno…
Dal libro Nanni Moretti ne ha tratto un film che ha avuto successo al festival di Cannes nel 2021.
2 risposte a ““Tre piani” di Heshkol Nevo”
Dello stesso autore ho apprezzato molto “La simmetria dei desideri ” con un altro impianto rispetto a questo . Narra la storia di un ‘amicizia che dura , cambia e si evolve nel tempo .
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