di Mihàly Földi
20 giugno 1945
Una lettura che mi ha impressionato, stordito, commosso.
Forse debbo queste sensazioni allo stato particolare del mio spirito.
– essere lontano da qualsiasi genere di vita.
– essere precluso ad ogni forma di attività sociale.
– essere chiuso da due anni in questo campo di concentramento dove tutto si riduce alle semplici funzioni vegetative.
– essere tagliato fuori dal mio mondo: “mamma e fidanzata” perché la posta non mi giunge.
– essere soggetto a continui “alti e bassi” dati dalle notizie della guerra e della politica e dalle voci che corrono di bocca in bocca: “si rimpatria!” “Non si rimpatria!”
La lettura di “Sposi amanti” che a molti non avrà lasciato nessuna impressione, ha avuto la forza di svellermi da questo “morto villaggio” per trasportarmi con l’immaginazione nell’intensa vita vissuta.
Una dolorosa impotenza cova nel mio spirito da tempo. Vivo, così, trascinato dall’abitudine, guidato dal trillo di un fischietto che dice: “sveglia, si mangia, si mangia, si mangia! corri all’appello, ti debbono contare! sono le undici, spegni la luce e dormi!”
E’ il ritmo della mia giornata; mangiare, dormire, mangiare, dormire è una variante: l’appello.
“Sposi amanti” non è il mio sogno, troppo dolorosa quella storia, ma quanto amore! Amore! una parola che da anni non odo, perché qui non usa. Amore potrei dire alla mamma, amore alla mia “bimba”. Amore! parola che grido al vento, invocazione di sogno senza risposta.
Il Professore in lettere del “box” accanto che mi vedesse fare questo commento intorno a “Sposi amanti”, mi rivolgerebbe un sorrisetto beffardo: “Come perdi il suo tempo! Studia qualcosa di meglio che non un romanzetto d’amore.”
Ma egli non sa ciò che io anelo con tutta la mia forza, non sa qual è la mia preghiera di ogni sera prima di chiudere le palpebre nel buio.
Lasciatemi soffrire in silenzio e sfogare così scrivendo. Aspiro alla libertà e con essa alla mia donna che da tanto infinitamente lontano mi attende.
E’ laggiù nella mia povera terra; è sola come me e soffre il mio stesso male. Mi attende da anni, attende un rigo, una parola, nulla. Attende il mio ritorno, nulla… Io sono qui immobile, lo sguardo fisso a una siepe di filo spinato, che mi stringe, che quasi mi soffoca come in una morsa. Sono passati così due anni; durerà ancora a lungo?
“Sposi amanti” mi ha liberato un momento da quel cerchio di ferro, mi ha fatto librare nel cielo, ha fatto vibrare il mio cuore inaridito nell’attesa a palpiti antichi.
Leggendo, si vive col personaggio; ma io col mio aperto carattere avrei agito diversamente da Zoltan, però molte volte sentivo al mia voce pronunciare le sue parole, ma non ad Antonia, ad Adriana.
“Fino ad ora credevo che tu fossi un essere umano, una donna meravigliosa. Mi sono sbagliato. Tu sei tutto un mondo e come ogni mondo ti suddividi in infinite parti”
- ma, basterà una vita per conoscerle?
- ma dimmi, non ti rincresce che io ti ami così?”
Quante domande! quanti problemi! ho preso una frase così a capriccio, forse la meno significativa, ma nel tutto, quanto amore!
– mangiare, dormire – mangiare, dormire – variante: l’appello.
Ma io voglio chiudere gli occhi nel sogno, non voglio sentire nulla e nessuno, voglio solo pensare. Voglio lasciar trascorrere le ore, i giorni sognando un avvenire di pace accanto alla donna della mia vita. Sognare, quando in un giorno radioso di sole io e lei saliremo i gradini della chiesa per unirci per sempre: sposi.
Una nube di bianchi veli, un intenso profumo di fiori e di chiesa; un morbido tappeto di velluto che attutisca i nostri passi fino all’altare; una profonda musica di organo che accompagni il nostro cammino. Un bisbiglio sommesso di due parole:
“Ti amo!”
“Ti amo!”
Ma questo non è che un sogno, la realtà sarà diversa. Niente veli, niente fiori, niente tappeto, niente organo. Solo due parole però rimarranno, le più belle: “Ti amo!”
E saremo sposi!
“Illuso non sognare, ricordati che quando tornerai dovrai lavorare. Per mantenere una moglie ci vuole denaro e la vita sarà difficile!” sibila una voce.
“Giustissimo, lavorerò da sfinirmi, ma basterà una parola, un bacio di colei che amo per ridarmi la forza di continuare il cammino”.
E intanto cerco affannosamente la distrazione che permetta di lasciarmi vivere, di non lasciarmi impazzire. Mihaly Foldi col suo “Sposi amanti” c’è riuscito per un poco, mi ha dato agio di sognare che più non esisteva il reticolato, crudele simbolo di assenza di vita.
Ero libero di amare, di soffrire, di lottare. Ho confuso le mie pene con quelle degli immaginari personaggi.
In sogno ho amata la vita.