Quando penso ad uno spiraglio, ad una fessura, mi viene in mente subito la bellissima scatola che la mia amica M. costruì tanti anni fa quando la conobbi per un primo laboratorio di scrittura. Era una piccola scatola di cartone che doveva decorare e dipingere, da usare per riporre, come in uno scrigno segreto, le cose più care. La sua scatola, una volta riempite era chiusa, tutta dipinta di nero a simboleggiare il suo dolore, ma si capiva che dentro l’aveva rivestita d’oro perché da un piccolo spiraglio in un angolo irraggiavano luci dorate. Ecco, quello spiraglio è stato il primo momento in cui si è mosso qualcosa, in cui si è preso coscienza -lei, io e tutte le altre- che ce la poteva fare. Ora M. non c’è più, anche lei se ne è andata in quell’orribile anno che è stato il 2019. Non ce l’ha fatta, ma sono contenta perché ho potuto salutarla pochi giorni prima della sua morte.
Mi accorgo di avere scritto 2019, non è uno sbaglio, l’anno scorso mi hanno lasciato alcune persone care, compresa mia sorella e forse egoisticamente oggi sento più quelle mancanze che tutti i morti che sta mietendo la pandemia. Troppo egoista? Troppo legata al mio piccolo mondo? Al mio giardino immaginario che sta sempre più assomigliando alla collina di Spoon River? Ormai sono quasi più i fantasmi che le persone reali. Ma questo è dovuto alla mia età che avanza, A volte la sento, a volte no, ma c’è.
Adesso, per tornare alla scatola di M. ancora non vedo spiragli, ancora ci sono muri di sofferenza, ma ho fiducia, prima o poi si intaccherà il muro, questo sarà abbattuto ed io passerò dall’altra parte, più bella, con riccioli nuovi e senza il virus che mi ha aggredito.
Le tre cose più difficili della vita sono: fidarsi, perdonare e dimenticare.