Sorprese all’aeroporto

Mi piace viaggiare da sola, certo mi piace anche viaggiare in compagnia, ma credo che la vera essenza del viaggio sia la possibilità di godersi da sola un momento di scoperta del mondo, da non condividere con nessuno. Quando si è in compagnia ci si gode la compagnia, quando si è soli si mettono in azione tutti i recettori e forse, se si fa attenzione davvero, si capisce di più del prossimo e anche un po’ di sé stessi
A me piace osservare e ascoltare in silenzio, guardarmi attorno; seduta da una parte, oppure camminando, in una strada affollata, non mi sento sola, mi sento in compagnia del mondo.
L’ultima mia avventura solitaria si è consumata proprio qualche giorno fa quando da Messina dove ero andata a trovare un’amica dovevo tornare a casa.
Viaggio comodo, programmato da tempo, ormai non posso più permettermi avventure da globe-trotter; arrivo in aeroporto a Catania con molto anticipo. Maledetta paura degli imprevisti che potrebbero sempre capitare.
Uno alla volta vengono chiamati i voli precedenti al mio fino a che un assembramento davanti all’uscita dove dovrei imbarcarmi mi fa capire che qualcosa non va.
Una agitatissima ragazza della compagnia sta avvisando i viaggiatori che il volo sarà cancellato.
Panico. Che cosa si fa in casi come questo? Non mi sono mai trovata ad affrontare una situazione simile. Mi avvicino al gruppetto che circonda, anzi assedia, la povera malcapitata e riesco a capire che se voglio partire, almeno la mattina dopo, devo immediatamente fare un’altra prenotazione a uno sportello non meglio indicato.
Seguo la scia di urlanti e brontolanti passeggeri. Trovo lo sportello e mi metto in fila.
Ed ecco che scatta in me quello che chiamo spirito osservativo antropologico.
Sono in mezzo a una cinquantina di persone di varia umanità: c’è il disperato, lo scocciato, il brontolone, il paziente, il rassegnato, l’invadente, l’urlante e chi più ne ha più ne metta.
Io guardo e osservo. Con pazienza, tanto che ci posso fare? Penso tra me che potrebbe essere l’occasione per mettermi da parte – metaforicamente – e aspettare che il mondo mi venga incontro.
Penso che posso accomodarmi nella sala d’aspetto della vita e osservare il campionario umano che mi circonda.
Osservo i modi di fare, di gesticolare, di spintonare, di porgere avanti il mento per guardare meglio quello che sta succedendo, di alzarsi sulla punta dei piedi per cercare di dominare la scena. Ascolto le voci che mi circondano, chi chiede, chi dice, chi protesta, chi consiglia, chi si dispera, tutti hanno il telefonino in mano e stanno avvisando di quello che sta succedendo lontani e imprecisati interlocutori.
Senza volerlo, in modo quasi automatico entro nelle vite di chi mi sta accanto, Quasi tutti viaggiano in coppia o in compagnia, per cui chi sta nella fila cerca di comunicare con chi è rimasto più lontano in cerca di notizie. C’è una coppia di persone anziane, sicuramente marito e moglie che stanno andando a trovare il figlio o la figlia al nord, lei è preoccupata che i cannoli che ha appena comperato, e che sbatacchia in una scatola, si guastino per il caldo. Certo domani non saranno freschi!
Due amiche giovanissime stanno tornado dalle vacanze, abbronzate e felici non sembrano minimamente preoccupate del ritardo, stanno già organizzando una rimpatriata con gli amici conosciuti al mare per la sera. Un’altra notte da aggiungere alle ferie.
Tre giovani con grosse borse sportive magliette colorate e bermuda sono preoccupati: sono sportivi che stanno andando a un master al nord. Hanno pagato fior di quattrini e ora devono perdere sicuramente la lezione del mattino dopo. Si consultano con i compagni a Firenze informandosi chi terrà la lezione persa. Mi immagino che stiano facendo il calcolo delle assenze per vedere se stanno dentro il monte ore totale. Li sento parlare tra loro, capisco che devono far buon viso a cattivo gioco. Una volta cambiato il biglietto li vedo sedersi rassegnati su una panchina subito fuori dalle ampie vetrate.
Poi irrompe Geltrude! Faccio un salto indietro di 40 anni e mi ritrovo, tutti si ritrovano, come Gian Burrasca alla mercé del terribile personaggio. Dapprima vedo ondeggiare le teste delle persone che si affollano davanti allo sportello, poi Geltrude emerge dalla piccola folla, spintonando con perentori “Permesso! Permesso!” Mi arriva si e no all’ascella, trascina il suo bagaglio a mano, una borsa da spiaggia colorata più grande di lei appesa alla spalla; arriva davanti all’impiegata e riesce solo ad appoggiare il mento sul banco. Tutti vengono presi di sorpresa da questa minuscola furia, dal corpo rotondetto che rivendica “C’ero prima io!” Mi viene spontaneo guardare se per caso non cammina sulle ginocchia come faceva Bice Valori nello sceneggiato. È una forma di compensazione, deve alzare la voce perché certamente non può alzare la statura. Qualcuno protesta, ma parla tanto e con tanto impeto che prende tutti per sfinimento.
Incredibile! Riesce a passare avanti, e tra uno strillo nel telefonino e una informazione alla sbigottita impiegata cambia in un battibaleno la sua prenotazione. Me la troverò di nuovo davanti la mattina successiva all’imbarco e non mi stupisco nel vederla seduta nei primi posti, quelli riservati ai passeggeri speciali. Penso che ci vuole molta forza e coraggio, unita a una bella dose di prepotenza per farsi largo nel mondo, Geltrude mi fa quasi tenerezza, ma forse è proprio questa l’arma che le concede di fare quello che vuole. Devo imparare a essere meno tenera? Certo l’esperienza è stata una bella scuola di vita, un momento per toccare con mano ciò che mi sta accanto, che mi sfiora ogni giorno e che generalmente non vedo mai.

Questo breve racconto è stato pubblicato sul sito della Libera Università dell’autobiografia di Anghiari (AR)


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