
Se le parole hanno un peso, quando ti cadono addosso a volte fanno male, ma fanno anche riflettere.
Una in particolare mi è stata rivolta innumerevoli volte in questi ultimi giorni.
L’ho sentita sulle labbra delle persone che mi stringevano la mano e scritta nei messaggi che mi arrivavano attraverso il mezzo che oggi viene usato come una volta il telegramma.
Condoglianze.
Una strana parola che come tante altre ci arriva dal latino. Benedetto latino, prima tanto vituperato e maledetto.
Cum-dolere ovvero provare dolore assieme. Chi la pronuncia dice “Mi dolgo con te, provo dolore con te, non sei sola a provare dolore”
Condoglianze non è solo una parola che si pronuncia distrattamente, quante volte l’ho detta anch’io senza pensare… fino a che non la si sente pronunciare da qualcuno che stringe la mano, qualcuno che con gli occhi bassi si avvicina,
Negli ultimi giorni l’ho sentita tante volte. e ogni volta in modo diverso. La prima è stata l’infermiera che mi ha accolto al reparto, senza nemmeno conoscermi, mi ha detto “Condoglianze” e poi mi ha baciato. Ed è stato quel bacio, la parola pronunciata sommessamente che mi ha fatto sentire tutto il peso del dolore condiviso.
Sono io quella che soffre? Che dole? Lo vedono gli altri? Eppure non ho gli occhi lucidi, non piango, solo tanta tristezza, tanto rimpianto.
Parola antica dolere, nessuno dice più “mi dole la pancia” tranne in alcune zone della Toscana, eppure è un verbo così bello.
Ora sono io che sto dolendo e le persone che mi si sono avvicinate lo sapevano e dicevano: “Condoglianze” anche se forse lo facevano per abitudine, come me prima che capissi sulla mia pelle quanto può essere doloroso, perché si fa così, perché è quella la parola da dire in queste circostanze, non se ne conosce un’altra.
Certo che ora io ho scoperto quanto pesi, quanto il suo significato sia grande e impegnativo, una parola da dire con dolcezza, partecipazione, condivisione ed empatia.
Grazie a tutti coloro che l’hanno pronunciata o l’hanno scritta in questi giorni, mi ha fatto bene sapere che il dolore della morte della mia sorellina era condiviso da chi mi scriveva o da chi mi stringeva la mano.
Ed ora le ultime parole della lettera di Charlotte Bronte per la morte della sorella Emily.
“Così non chiederò perché Emily ci è stata strappata nella pienezza del nostro attaccamento, radicata nel fiore dei suoi giorni, nella promessa delle sue potenzialità; perché la sua esistenza ora giace come un campo di grano verde calpestato, come un albero in piena recinzione colpito alla radice. Dirò solo che dolce è il riposo dopo il travaglio e la calma dopo la tempesta, e ripeto ancora e ancora che Emily ora lo sa”.