Ritrovando talenti nei cassetti della vita

Testo dell’intervista di M. Gabriella Pavarotti per il libro “La storia, le storie” pubblicato per il decennale della Libera Università dell’autobiografia e curato da Anna Maria Noferi. Pag. 385/396 (il libro non è più in commercio da tempo, forse qualche copia si può trovare ad Anghiari. Io ne possiedo una versione in pdf, che lo volesse può scrivermi e contattarmi, glielo manderò volentieri.)

  1. Prologo
  2. Ferrara – Modena – Firenze
  3. Gli scritti di mio padre
  4. Un incontro col destino…
  5. …e con la Libera
  6. Anghiari e Sorci
  7. Mi sento complicata
  8. Il potere della parola scritta
  9. L’importanza del confronto
  10. Il secondo colpo di fulmine
  11. Le mie due anime
  12. I cambiamenti nella vita professionale
  13. I laboratori
  14. La maestra delle fate
  15. Epimeleia
  16. Il sito della Libera
  17. Nessuno è profeta in patria.
  18. Ad Anghiari… ancora
  19. Dentro la Lua

Ha frequentato la prima edizione della Scuola, nel 2005 ha conseguito il titolo di Consulente in scrittura autobiografica e autoanalitica nelle relazioni di aiuto. Collabora attivamente alla Libera occupandosi, tra l’altro, del sito web. È decana, Collaboratrice scientifica e fa parte del Direttivo.
Incontro Ada a casa della sorella a Trentino, una frazione di Fanano sull’Appennino Modenese, in un freddo ma limpido pomeriggio novembrino. Sguardi, gesti, silenzi, condivisione, un po’ di commozione, i minuti scorrono mentre un piccolo registratore cattura le nostre parole imprigionandole nel nastro.

Ferrara – Modena – Firenze

Sono nata a Ferrara. I miei genitori non ci sono più. Ho una sorella che ha dieci anni meno di me. Fino a venti anni ho abitato a Modena. L’anno dopo l’alluvione, sono andata all’ISEF a Firenze e lì sono rimasta a fare l’insegnante di educazione fisica finché sono andata in pensione nel 1998, praticamente tutta la mia vita. Sono rimasta lì, anche perché a Firenze mi sono innamorata e poi sposata.

Gli scritti di mio padre

Nel ‘98 sono andata in pensione. Libertà, senso di libertà: basta con la scuola, basta con gli obblighi, ora faccio quello che voglio, potevo stare spesso anche con mio padre. Andavo spesso a Modena a trovarlo. Ma, ai primi di Dicembre improvvisamente mio padre muore, un infarto.
Dopo la sua morte io e mia sorella abbiamo dovuto vuotare casa. Nel mettere a posto le carte di nostro padre, abbiamo trovato tantissime lettere e il suo diario di guerra. Li ho conservati io perché mi piacevano: l’album amicale, gli scritti della prigionia, le sue lettere dalla prigionia in America. Già allora avevo l’idea del conservare, del fare. Ho sempre avuto la passione di raccogliere un po’ tutto, di tenere, catalogare.

Un incontro col destino…

Passò l’inverno, arrivò la primavera del ‘99. La mattina uscivo a comprare il giornale, la Repubblica, come si fa quando si è in pensione e non si ha niente da fare. Mi colpì un trafiletto: “È nata la Libera Università dell’Autobiografia”, rimasi folgorata. Il ricordo è preciso: ero seduta sul divano e mi precipitai a telefonare a Milano chiedendo come dovevo fare per iscrivermi. Mi rispose Lucia Sersale: “Non è un problema, può mandare il suo curriculum, una domanda e se va tutto bene a luglio cominciamo”.
È stato proprio un incontro col destino. Io già mi domandavo cosa potessi fare con gli scritti di mio padre, quando lessi in quel trafiletto “la scuola della memoria”. Quello che pensavo di fare in quel momento era diverso da quello che è successo dopo. Però l’incontro è stato quello, in quella mattina di quel giorno lì, leggendo il giornale. Ho fatto tutto immediatamente, la mattina stessa: ho scritto la domanda col curriculum e l’ho spedita. Volevo soprattutto recuperare, entrare meglio negli scritti di mio padre, capire come potessi interagire con loro. Li ho mandati poi anche all’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano.

…e con la Libera

Era il primo luglio del 1999, avevo la macchina nuova, consegnata il giorno prima. Sono andata ad Anghiari in macchina. Primo incontro in Sala Consigliare, con tutte ‘ste poltrone, ‘sti seggioloni di legno, tutti neri, scomodissimi. C’era Demetrio, mi ricordo, e ci disse: “Benvenuti, si incomincerà questa avventura”.
Ero intontita. Sono quelle cose in cui si viaggia al limite senza proprio pensarci, si fanno così. Ho conosciuto tutte le persone che come me frequentavano il primo anno. Ero molto spaventata. La scuola era diversa da quello che è ora, molto diversa. Avevamo ogni giorno un docente diverso. Il primo giorno c’era Demetrio, il secondo Cambi, me lo ricorderò sempre.
Cominciò a parlare in termini filosofici, pedagogici. Per me, che avevo fatto l’Istituto Tecnico Femminile e l’insegnante di Educazione Fisica, era arabo, non capivo quello che diceva. Mi ricordo che andai da Antonella Bolzoni, che era la tutor, e dissi: “Io me ne vado perché, se deve essere così, non ce la faccio, non sono in grado di capire quello che dite. Io non capisco!”.
Lei mi tranquillizzò: “Non ti preoccupare, segnati tutte le parole che non capisci, che te le spiego io”.
Poi conobbi sia Caterina Benelli che Giulia Clemente che facevano parte del mio gruppo di lavoro. Queste due ragazze di trent’anni, molto più giovani di me, mi presero sotto la loro protezione, dissero: “Se non capisci qualcosa, noi ti aiutiamo”. Ho capito subito che nella Libera c’era cura per le persone.
Per me deve esserci un incontro tra persone, l’avevo sperato da subito. Abbiamo frequentato la prima settimana in luglio. Ho conosciuto subito Wanda Pane, perché alloggiavamo a San Sepolcro e andavamo insieme ad Anghiari. Io avevo la macchina e portavo anche lei, è stata amicizia quasi immediata. Con le altre meno, anche perché io mi sentivo in imbarazzo, mi sentivo molto inferiore. Avevo un senso di inferiorità paurosa. Son stata male, la prima settimana sono stata malissimo, non con le persone, stavo male io, delle volte mi dicevo “ma che ci sto a fare qui, che cosa ci faccio?” perché non capivo niente. Solo quando è arrivato Dallari mi son trovata meglio.
Venne Cambi, venne la Fabbri, mi ricordo, venne Clemente, insomma vennero dei bravi docenti. Mi ricordo che Demetrio consigliò dei libri da leggere durante l’estate. Andai a comprarli e cominciai a leggere tutto, per capirci un po’.
A settembre è stato tutto diverso, c’è stato un ritrovarsi. Mi piacque molto il laboratorio con Dallari, già il fatto dell’arte, del disegnare mi piaceva molto. Una docente che mi è piaciuta è stata Stefania Bergamini. È una sociologa e a me piace molto la sociologia. Al primo anno ci avevano divisi secondo gli interessi di ciascuno e io, non potendo scegliere filosofia perché mi sentivo davvero handicappata, scelsi l’indirizzo sociologico antropologico, con la Bergamini e Pietro Clemente, che era l’antropologo di riferimento. La Bergamini per me è stata molto brava, mi ha dato parecchio, era molto pratica, forse mi piaceva anche per quello.
Demetrio la contestò quasi subito perché lei aveva un’impostazione diversa dalla sua. Ci portò a Verona a fare un seminario perché non aveva tempo di venire ad Anghiari. Demetrio si arrabbiò perché la Libera è ad Anghiari, non a Verona. Aveva ragione, però lì per lì…
Lei sosteneva che le cose più vere vengono fuori lasciando andare il racconto senza interrompere perché magari io in questo momento sto pensando a qualche cosa e, se tu mi fai una domanda, mi fai perdere il filo.
Anche sul sistema della sbobinatura aveva un suo metodo e pure nei criteri di lettura delle interviste. È un sistema secondo me valido, anche se non in tutte le ricerche.

Anghiari e Sorci

Non conoscevo Anghiari, non c’ ero mai stata. Mi è subito piaciuta l’atmosfera, il vivere del paese, anche se noi eravamo molto spesso a Sorci.
Mi ricordo che il primo anno ci presero anche le poltroncine per riposare nel pomeriggio, delle sdraio bianche sotto la pineta. Rimanevamo lì, c’era una bella atmosfera a Sorci.
Poi, Anghiari, io dico sempre “Quando arrivo ad Anghiari c’è un’altra aria”, respiro in un modo diverso. I profumi sono diversi, sento l’aria diversa. Quando scollino la Libbia, ecco, sono arrivata, sono a casa. Questa per me è un’altra casa, non lo so, forse sarà che ci vado tanto spesso ormai. Ha sicuramente avuto importanza, influenza anche il luogo in sé. Le merende fatte fuori dove c’è la vallata…!
Nei primi due anni non c’era il senso del gruppo. C’erano piccoli gruppetti, conoscenze con qualche persona. La persona a cui io voglio più bene in assoluto, Beatrice, l’ho conosciuta dopo. Per “conosciuta” intendo dire che ho avuto con lei avuto un rapporto più stretto, anche se ha fatto la scuola con me.

Mi sento complicata

Quando ho fatto la Libera, non pensavo assolutamente che mi desse la possibilità di avere un lavoro, tanto ero in pensione. Non ci pensavo proprio a lavorare.
La Libera mi ha aiutata a crescere tantissimo e mi si sono aperti quei cassetti che probabilmente avevo chiuso molti anni prima e che non erano più stati aperti; in quei cassetti avevo chiuso tante mie aspirazioni, ma “aspirazioni” non è la parola giusta, tanti miei talenti, chiamiamoli così. Cioè, quelle cose che sai fare intuitivamente, che ti piace fare, che però hai sempre soffocato per il tran tran della vita, la famiglia, i figli, il lavoro, le cose quotidiane. La Libera ha avuto il pregio di farmi aprire quei cassetti, di farmi riflettere su di me e riflettendo e scrivendo di me mi ha dato la possibilità di riuscire a capire quanto fossi complicata: perché io sono complicata. Quando mi chiedono: “Che cosa fai?”, per rispondere non so da dove cominciare, perché mi sento veramente come un qualcosa di complicato, molto complicato. Se lo guardi da una parte posso dire una cosa, se lo guardi dalla parte opposta ne dico un’altra, a destra è un’altra ancora, a sinistra un’altra ancora, sotto pure, di sopra pure, per cui è un macello.
Insomma, delle volte non capisco nemmeno io cosa sono. Se lo sapessi, se avessi questa certezza, forse non sarei ancora alla Libera. Perché il mio desiderio di frequentare ancora, di fare, è proprio questo, è proprio andare avanti, capire cosa c’è ancora. Io sono molto curiosa, sono una persona che “ficca il naso”. L’essere curiosa mi ha sempre stimolato. Cosa c’è dietro? Cosa c’è di là? Dentro di me dico “So fare questo, non so fare quello, mi piacerebbe fare questa cosa, oh come mi piacerebbe, beh, però ci posso provare”. Poi magari mi ci incaponisco e ci riesco anche, o magari non ci riesco.
È molto complicato, mi sento molto complicata.

Il potere della parola scritta

Lo scrivere mi ha aiutato a fare un po’ di chiarezza. La scrittura è davvero fondamentale. Il valore aggiunto della Libera credo stia proprio nella scrittura, nel dovere scrivere prima di tutto la propria autobiografia, ripercorrere la propria storia a grandi linee. In questi ultimi anni alla Scuola scrivono un’autobiografia molto più lunga, la mia è di 29 pagine, me la ricordo, ancora non era niente di particolare, però mi ha aiutata a riflettere su alcuni avvenimenti del passato.
Diciamo che la Scuola è stata la base, poi io ho fatto il percorso di Ta eis auton con Demetrio e quello è stato più fondante e mi ha aiutato di più, mi ha fatto capire che la vita è complicata, che la scrittura è importante, che anche una parola sola ti può suggerire migliaia di sensazioni, di ricordi e portarti a riflettere su di te, su quello che ti sta intorno.
Sono convinta del potere della parola e soprattutto del potere della parola scritta. Sono assolutamente convinta e credo di riuscire a trasmetterlo anche alle persone che seguono i miei laboratori. Attraverso la parola scritta sono riuscita a entrare più in profondità dentro me stessa, anche se ancora non completamente, per lo meno sono riuscita ad accettare determinate cose che non possono essere cambiate. Scrivendo, si riflette, poi rileggendo quello che si è scritto, si vede che ci si incaponisce sempre su una cosa, ma che ci si incaponisce a fare? A un certo punto si cerca di capire i limiti, i miei limiti. Se non si riesce a fare una cosa, forse non è perché non si è capace, ma anche perché d’intorno non ci sono le possibilità, perché altre persone hanno comunque la loro personalità e impediscono di farla.

L’importanza del confronto

Sento fortemente il bisogno di confrontarmi. All’inizio il confronto è avvenuto quando sulla mia strada ho incontrato Beatrice, che ha frequentato Ta eis auton insieme a me. Disubbidendo a Demetrio che non voleva né i gruppi né le mailing, abbiamo cominciato a scriverci. Beatrice riesce a completarmi. Io completo lei e lei completa me. Mi ha dato e mi dà tantissimo, soprattutto tramite la scrittura – visto che siamo lontane – e fino a neanche un anno fa tutte le sere ci scrivevamo via e-mail. Skype purtroppo ora ostacola la scrittura, però spesso ci scriviamo ugualmente. È una ricchezza enorme, soprattutto perché non c’è giudizio da nessuna delle due parti, cosa fondamentale.
Ci sono altre persone con cui mi confronto, ma non tantissime. Ho amiche, anche molto care, però fanno parte di un’altra mia sfaccettatura, qualcuna mi ha anche affiancato nel mio percorso. Penso a mia sorella, lei è più giovane e ci vogliamo molto bene. Forse le nostre esperienze ci hanno cambiate. Lei ama dove vive, la sua casa, la natura, le cose semplici, far da mangiare, trovarsi con gli amici intorno al tavolo, andare a ballare col marito.
Quindici giorni all’anno mi piace tantissimo stare qua, però è un mondo diverso dal mio. Quando sono qui in vacanza e loro escono, io preferisco starmene con un libro. Lei partecipa alla mia vita: è venuta a Pieve quando hanno premiato il diario del papà, è venuta ad Anghiari, però il suo è un altro mondo.

Il secondo colpo di fulmine

Come l’incontro con la Libera era stato un colpo di fulmine attraverso un articolo di giornale, così è stato un colpo di fulmine, ancora attraverso un articolo di giornale, quello con l’Università di Pisa.
Il 28 settembre 2002 lessi sul giornale: “Università di Pisa – Facoltà innovativa coniuga l’informatica con le lettere”. Son rimasta folgorata: “Questa è mia! Questa è per me, ma come faccio a Pisa?”
Telefonai immediatamente a Laura Lecchini, che ha fatto la Libera con me e che abita a Pisa chiedendo consiglio e lei mi rispose: “scherzi!? Non ci stare a pensare due volte, vieni e iscriviti”. Era l’ultimo giorno possibile per l’immatricolazione.
Andai a Pisa. Mi ricordo che feci la foto in una macchinetta, feci una fila lunghissima allo sportello della segreteria. Ebbi un momento di panico a vedere tanti giovani. Di nuovo mi chiedevo che cosa ci stessi a fare là, Ho 54 anni!
Arrivato il mio turno, finalmente mi iscrissi alla facoltà di Informatica Umanistica. Ho sempre avuto, la passione del computer. Quando ancora insegnavo, ero una che gli ultimi anni bazzicava forse più il laboratorio di informatica che la palestra. Avevo trasferito un computer in palestra e vi facevo lavorare i ragazzi che non volevano fare educazione fisica, quelli che si giustificavano.
Li mettevo a scrivere gli articoli per il giornalino della scuola. Poi avevo cominciato a fare le classifiche delle campestri, cominciavo a smanettare. Quando è cominciato Internet nel 1995, mi affascinò tantissimo. Abbiamo cominciato a fare i primi ipertesti. Nel 1996 ho messo in rete il sito della scuola e penso che sia stata una delle prime scuole ad aver il sito internet.

Le mie due anime

Il giorno dopo l’iscrizione all’Università iniziavano le lezioni. Ho cominciato a frequentare ed ho conosciuto un altro mondo, mi si è aperto un mondo incredibile che ha coniugato le mie due anime, le ha collegate l’una all’altra che ora sono veramente una cosa sola.
È stato bellissimo perché ho avuto come docenti, non so se per fortuna, delle persone splendide; ho avuto un rapporto bellissimo con gli studenti giovani, io ero la nonna, ma quando si condividono gli interessi non ci sono problemi, anzi per un anno mi hanno eletta loro rappresentante. Mi vogliono ancora bene quelli che hanno fatto l’università con me, proprio mi vogliono veramente bene. Sanno chi sono. Mi hanno accolto come mi avevano accolto Caterina e Giulia e quindi è stato molto bello.
In questa Facoltà ci sono molte materie umanistiche, si tratta di una interfacoltà lettere-informatica, ma anche materie di tipo informatico.È un connubio, in cui c’è sempre una visione bilaterale, l’informatica è fatta in funzione del contenuto che deve essere umanistico e l’umanistico deve essere fatto in funzione della restituzione attraverso l’informatica. Il bello è proprio questo.
Ho costruito il sito web della Libera in funzione del contenuto, il quale è valorizzato dalla forma che ho dato al sito. Tutti mi dicono che è molto bello, fatto bene, non si rendono conto che l’ho studiato proprio in funzione del contenuto.
Anche i volantini, come quello dei “Cantieri della Libera”, sono cose che, se tu hai una formazione sia umanistica che informatica, riesci a costruire mettendo insieme il contenuto con la forma. Un volantino o un manifesto si costruiscono, si creano, però devono avere un contenuto molto forte, essere non solo la bella cosa che guardi e poi dentro non c’è niente.

I cambiamenti nella vita professionale

All’interno della Libera c’è stata, da parte mia, crescita e maggiore consapevolezza, maturate un po’ anche per la frequenza all’Università. Ho seguito all’inizio alcuni lavori che faceva Caterina, il mio mentore, e Beatrice, anche se da lontano. Ho pensato: “Posso far qualcosa anche io” e ho cominciato. Ora lavoro parecchio coi progetti, coi laboratori, e questo mi dà anche un sostentamento economico a integrazione della pensione e comunque mi piace, lo faccio volentieri, ho avuto delle soddisfazioni molto grandi. Mi piace stare a contatto con le persone che vogliono scrivere, guidarle e capire che riescono a vedere dentro di sé attraverso la scrittura.
C’è sempre riflessione quando preparo un laboratorio, rifletto molto bene su quello che devo fare, su quello che ho fatto, su come lo devo portare avanti, sulla ricerca dei brani da leggere. Tutto è, comunque, sempre una riflessione su di me. Tutto quello che faccio mi arricchisce.

I laboratori

Io credo tantissimo alle relazioni fra le persone. Ci sono persone che frequentano i laboratori da quattro anni e sono sempre stupita di quello che riesco a tirare fuori da loro, stupita dal rapporto che hanno tra di loro e con me. Io do a loro perché mi prendo cura di loro, sto con loro, stimolo la loro riflessività, però anche loro mi danno molto in termini di umanità. Ho sempre avuto, fra virgolette, una vita tranquilla, sì, ho avuto la mia storia più o meno dolorosa, però sono sempre stata bene, insomma non ho avuto grossi problemi, perciò mi reputo fortunata nella vita. Ecco, allora il capire che esistono tante persone che hanno problemi, cose difficili e che riescono a tirarle fuori e superare è molto bello. Mi dà molto, mi dà veramente molto.
Comincia a diventare difficile trovare nuove proposte, nuovi argomenti per i laboratori, ma mi rendo conto che non è importante trovare sempre cose nuove. Anche se vengono dette in modo diverso, le cose sono comunque le stesse, quindi loro scrivono sempre con piacere, finché c’è la curiosità, la voglia di scrivere per sé, la voglia di riflettere. Una donna ha fatto quattro laboratori con me, ma è sempre entusiasta, è sempre molto pronta. Non dice mai “ma questo l’ho già fatto”, oppure “l’ho già scritto” perché qualche differenza c’è sempre. Procedo per sollecitazioni, per parole-chiave. Dico all’inizio che non c’è giudizio, che possono leggere o non leggere, il resto viene via via.

La maestra delle fate

Ho condotto due laboratori con cinque donne che avevano dei grossi problemi dal punto di vista del loro vissuto, dolori, perdite e che dopo sono riuscite a scrivere un libro di fiabe; con loro avevo lavorato molto con la fiaba perché dovevo usare più la metafora che gli avvenimenti della loro vita, quindi trasporre in metafora le loro esperienze. Ora questo libro sta avendo un successo enorme.
Siccome abbiamo lavorato anche con le “Carte delle fate”, loro si sono autonominate “le fate scribacchine” e mi chiamano “la maestra delle fate”. Per me questo appellativo è splendido. Non posso avere soddisfazione più grossa di sentir dire da loro che sono “la maestra delle fate”, È veramente la soddisfazione più grande: avere portato delle persone che hanno sofferto, hanno avuto delle esperienze particolari a realizzare un qualche cosa che ora le fa camminare più dritte. È la cosa più bella di questo mondo.

Epimeleia

Quest’anno mi sono iscritta per la seconda volta al percorso di Epimeleia. Devo fare un bel ripasso, per me è molto importante non solamente per riflettere su quello che io faccio per curare gli altri, ma anche su quanto gli altri fanno per curare me. Quello che tu stai facendo in questo momento per me è una grande cura. Mi stai curando. O anche quello che vedo succedere intorno a me mi sta curando, soprattutto il fare attenzione alle piccole cose.
Faccio attenzione non solamente a quello che io posso fare per gli altri, ma anche a quello che gli altri fanno per me e capisco che, anche se penso “nessuno pensa a me”, ci sono tante persone che lo fanno. È bello vedere che in fondo il mondo non è proprio tutto marcio e che ci può essere ancora solidarietà. La piantina cresce anche se è in difficoltà, sta a noi aiutarla a crescere. Credo che stia a noi aiutare le persone attraverso laboratori, progetti, parlando con loro, cercando di trasmettere qualche cosa.
La cura porta a cambiare, con la cura si cambia, poco o tanto. Un cambiamento lo generi e ti rigenera. Servono anche i piccoli gesti, anche quelli che non vengono riconosciuti. Tu fai un gesto che reputi di cura verso l’altro e l’altro forse non lo riconosce. Comunque c’è stato e lascia il segno.
Può essere che tu non riconosca subito un gesto di cura, ma te ne accorga più avanti. Allora penserai che quella volta lì per lì non te ne sei accorta, però poi ti viene in mente di quella volta, proprio di quella volta lì.

Il sito della Libera

Il mio lavoro più grosso all’interno della Lua è stato, ed è, il sito web, nato nel 2002. L’ho voluto io, ricordo che Duccio non lo voleva. Un giorno durante una riunione gli dissi: “Io lo faccio perché secondo me ne vale la pena, ci penso io!”.
Così è nato il sito, il primo, ed è cresciuto, è diventato davvero un punto di riferimento, secondo me, importantissimo per la vita della Libera. La newsletter ha tanti iscritti, quasi tremila persone la ricevono ogni settimana. Sono tanti i visitatori del sito, molte le persone che ci contattano.
Io ci lavoro tanto, praticamente tutti i giorni. Quando arriva la posta, annoto su un quaderno le cose da fare e poi, via via che le faccio, cancello.
Mi segnalano laboratori, rappresentazioni teatrali, presentazioni di libri, qualcuno mi manda materiale da pubblicare, quindi il lavoro è tanto. Ora il nuovo sito, in linea dal primo di Gennaio 2008, è meno faticoso da gestire perché è un po’ più snello, ha una forma più moderna, però il lavoro rimane molto impegnativo.
Le persone mi mandano i testi, io li trasferisco sul sito e li metto a disposizione. Vorrei che arrivassero più testi, recensioni di libri, sarebbe bello potere fare seguire di più tante cose. Ora come ora si tratta di notizie di persone legate alla Libera che fanno esperienze in giro per l’Italia e mi chiedono di inserirle nella newsletter. A me piacerebbe che ci fossero anche più contenuti, però i Collaboratori scientifici non ci sentono da questo orecchio. Basterebbe anche solo un articolo, la recensione di un libro, che è la cosa più semplice da fare. Per esempio, qualcuno alla fine di un laboratorio mi manda il libro da mettere sul sito. Dà soddisfazione anche a chi l’ha fatto, nel senso che può dare visibilità.

Nessuno è profeta in patria.

A Sesto Fiorentino, dove vivo, ero conosciutissima come insegnante di educazione fisica. Praticamente sono stata la professoressa di metà della popolazione. A Sesto ci sono due scuole medie, quindi metà dei ragazzi sono stati miei alunni, compresi il sindaco e i figli del sindaco. Per tutti ero “la prof.” e hanno fatto molta fatica a vedermi in maniera diversa. Da quando collaboro con lo SPI va un po’ meglio. Ho portato esperienze diverse, in particolare quelle da cui poi è nato il libro “Lola per noi”. Quest’anno, per la prima volta, a novembre farò un laboratorio di scrittura autobiografica con l’Università della terza età. Ma ci sono voluti dieci anni! E non per questioni burocratiche o di finanziamenti, ma perché non credevano alla mia proposta di laboratorio di scrittura autobiografica.
Poi finalmente ho portato il libro di Lola dicendo che ero quella che ha collaborato alla scrittura del libro… mi occupo di questo… faccio questo…». “Proviamo, ma solo con dieci ore per adesso!”. A me andavano bene anche cinque, tanto per cominciare. Possibile non riuscissi a fare niente a Sesto?

Ad Anghiari… ancora

Tornare ad Anghiari è un ripasso, sempre. C’è bisogno di lavorare continuamente sulla formazione. Anche l’operaio ha bisogno di aggiornarsi, di continuare a studiare, a lavorare sopra quello che sta facendo. Penso che per me l’unica cosa per continuare a fare, sia andare ad Anghiari a seguire seminari, percorsi, a confrontarmi con gli altri. Ci sono sempre persone nuove, quindi anche nuovi punti di vista, nuove opinioni, nuove esperienze.

Dentro la Lua

Come Collaboratore scientifico sono decana. Mi sento “decana” nel senso di portavoce, solo questo. Mi sento assolutamente alla pari degli altri, ho la possibilità di avere una relazione forse privilegiata col professor Demetrio e con la segreteria, per il resto sono assolutamente alla pari con gli altri, anzi a volte mi sento al di sotto degli altri. Abbiamo delle persone tra i Collaboratori scientifici che sono veramente fantastiche. Facciamo cose diverse. Questo è proprio il bello: ognuno dà per quello che ha. La ricchezza è la diversità.
Se tu hai qualcosa di qualcuno, questo qualcuno, anche se non lo incontrerai mai, ha qualcosa di te.
Faccio parte del Consiglio Direttivo che è composto da un numero ristretto di persone. Ultimamente sta cambiando in senso positivo. Abbiamo deciso che si farà una riunione al mese. Prepariamo l’ordine del giorno un po’ prima, in modo da arrivare pronti. Però è una fatica, è veramente una fatica enorme anche andare ad Anghiari ogni volta. La Libera sta diventando una cosa complessa, occorrerebbe più ordine per far crescere anche la “organizzazione.

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