Ricordi


Tra le cose positive di Facebook ce n’è una che mi emoziona ogni volta… Sono i ricordi che l’algoritmo va a ripescare tra gli scritti postati anni prima.

Lo so che è un algoritmo, senza anima e senza cuore, ma trovare ogni tanto ricordi di quotidianità praticamente dimenticati mi fa piacere, come se ci fosse qualcuno, reale, che è andato a frugare nella mia testa e ha miracolosamente estratto qualcosa di prezioso.

Stamattina è emersa dal caos, come sirena dal mare, Gabriella. Trascrivo quello che ho scritto ben 7 anni fa.

14 aprile 2016
Il giovedì mattina, qui sotto casa mia (è un’abitudine di quando abitavo al quinto piano) accanto a casa mia, c’è un piccolo mercato. È l’occasione per farsi un giretto nel quartiere, vedere facce conosciute, sempre più vecchie, con passi sempre più incerti, affollarsi intorno ai 4 banchetti.
Il più gettonato è quello del fruttivendolo, forse ne ho già parlato (quello che palpa le clienti se loro palpano la frutta), ma oggi vi voglio parlare del banchetto del padellaio, come lo ha chiamato stamattina Gabriella.
Serve una padella che si è bruciata (vista la sua disattenzione che aumenta di giorno in giorno), ed ecco che inizia la scelta. Una padella abbastanza grande, ma non troppo, robusta, ma non troppo pesante perché altrimenti non si riesce a sollevarla. Polso e braccio affetti da debolezza, capacissimi di dare una padellata in testa a qualcuno, ma incapaci di sollevare dal fornello senza disastri il cucinato.
Molte prove per soppesare la forza che serve a portare l’utensile dal fuoco alla tavola, poi decisione: alluminio che pesa meno. Ma se costa come quella più pesante allora è più buona o è una fregatura?
Chi conosce Gabriella sa che quando comincia a parlare non la smette più, soprattutto ora che è perennemente arrabbiata col mondo. Il padellaio le dà corda, sembra divertirsi anche lui alle sue arguzie.
Intanto che lei se la vede col padellaio, io amoreggio con il fruttivendolo, cercando di scegliere la frutta più sana e più bella, i pomodorini più sodi, e tre carciofi belli duri, faccio mettere nella sporta anche 4 cipolle di Tropea, quelle servono sempre.
Finite la nostre spese, io e Gabriella ce ne andiamo torno, torno al giardino, è una bella giornata, si sta bene, camminiamo lentamente, un po’ perché io ho ancora male al tallone, un po’ perché dobbiamo tenere il passo della canina.
Gli alberi del giardino sono bellissimi, il fogliame ha messo un colore fresco di primavera, faccio una foto, sembra che i rami costruiscano un tetto di foglie, un riparo, come una capanna verdeggiante.
Camminiamo per un po’, lentamente Gabriella mi accompagna verso casa, parliamo del più e del meno, poi lei e la padella se ne vanno.

Spero che per un po’ la usi per cucinare e non per rivendicare il suo diritto alla felicità.

E questo è tutto, Gabriella non c’è più ma, se mi potesse sentire, ancora riderebbe con me del padellaro, del fruttivendolo e della vita che lei sapeva così bene raccontare.


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