Ricordi delle mie nonne

Questo testo è stato scritto su sollecitazione del Circolo di scrittura autobiografica a distanza e recitava: “Ricordo mia nonna”

  1. …e perché mai una sola?
  2. Nonna Iride
  3. Nonna Irma
…e perché mai una sola?

Di nonne ne ho avute due, come ognuno di noi, tutte e due donne speciali, donne forti e indipendenti.
Tutte e due nate alla fine dell’ottocento, tutte e due hanno vissuto due guerre mondiali e tutte e due hanno visto la nascita del loro pronipote.
Non ho mai conosciuto invece i miei nonni che sono spariti in vari modi prima della mia nascita.
Ecco quindi che le mia nonne sono state i miei fari, le due persone che mi hanno dato l’impronta, che hanno impresso le orme su cui poi ho camminato.
Due donne diversissime tra loro e nello stesso tempo uguali nei valori e nella determinazione a superare le difficoltà della vita.
Due donne sole, che hanno camminato con la testa alta, provvedendo ai figli, lavorando e diventando, nel loro piccolo, guida ed esempio.

Nonna Iride

Nonna Iride è nata il 20 settembre del 1897 a Ferrara, la mia bisnonna si chiamava Erminia e il mio bisnonno Lindo, ciò mi fa capire perché il mio secondo nome sia Linda!
Iride è la nonna che mi ha fatto nascere, ho visto la luce infatti a casa sua a Ferrara. il suo mestiere era quello della levatrice e non poteva essere che lei a tirarmi fuori dalla pancia della mia mamma in un pomeriggio caldo di estate.
Era una donna austera e imponente, incuteva timore e rispetto, sapeva prendere decisioni e quando diceva una cosa era quella e niente e nessuno poteva farle cambiare opinione.
Si era sposata con Giuseppe che faceva il ferroviere, più giovane di lei, ho sempre avuto racconti nebulosi di questo nonno. Semplicemente non c’era ed era vietato pronunciare anche il suo nome.
Solo quando sono stata più grande ho saputo che era ancora in vita, e che nonna l’aveva semplicemente ripudiato, cancellato perché credo che lui l’avesse tradita.
Nonna Iride dal momento della sua scelta è sempre vissuta sola, non so se fosse separata legalmente o se fosse semplicemente separata, so solo che non l’ho mai vista in compagnia di un uomo, una valchiria senza cavallo, una strega dalle mani magiche con la capacità di fare nascere i bambini.

E lei ne ha fatti nascere tanti, anche verso la fine della sua vita, quando aveva superato abbondantemente i 70 anni, la chiamavano per assistere delle partorienti. Lei correva, andava sempre, a qualunque ora del giorno e della notte.
Io abitavo a Modena e lei a Ferrara per cui di lei ho ricordi che associo alle visite che la mia famiglia le faceva durante l’anno. I primi tempi a Ferrara ci si andava in treno, io ero piccolissima, ma ricordo ancora la “littorina” che collegava Modena a Ferrara. Viaggio lento e lungo con una fermata in ogni gruppo di case, paesi, frazioni, o nulla… bastava che ci fosse una casa per fermarsi. Poi quando è scoppiato il Boom economico ci andavamo in macchina, una topolino decappottabile, io stretta su sedile dietro, ma ero piccina e non ci facevo caso.
Papà alla guida e mamma col foulard in testa per non rovinare la messa in piega.
Arrivare a casa di nonna era un avvenimento, anche perché non era un divertimento, nonna era austera, sempre seria, vestita di abiti di seta o di lana leggera a disegni minuti, un colletto bianco, sempre inamidato, i capelli avvolti in trecce girate sulla nuca. Profumava sempre di crema Nivea ed è a lei che penso ancora quando mi capita di sentirne l’odore.
Mi chiamava Principessa, e pretendeva da me modi da principessa. Forse è per questo che a volte anche da grande sono sembrata così austera e distante, era il mio retaggio di principessa?

Nonna Iride ha deciso il mio nome. Mio papà aveva stabilito che mi dovessi chiamare Ada, un nome breve che non si potesse storpiare e che cominciasse per A, ma lei lo allungò aggiungendoci Linda e attaccando il secondo nome al primo così divenni Adalinda, poi non contenta, decise che per tutti in famiglia dovessi chiamarmi Dody, e Dody sono stata fino a che da grande, molto grande, non ho deciso di riappropriarmi del mio nome originale.
Nonna Iride era il Natale, Lo passavamo sempre a Ferrara a casa sua, con un banchetto che terminava sempre con il dolce salamino ricoperto di panna montata. Ogni volta c’era il rito della letterina di Natale che era rigorosamente indirizzata a lei, la matriarca, la persona più importante, quella a cui dedicare l’omaggio e gli auguri. Lei era la regina, la sovrana che regnava sul suo regno famigliare composto dalle due figlie gemelle e dai loro mariti, poi dai nipoti, due femmine e un maschio arrivati alla distanza regolare di 5 anni uno dall’altro.
Ada, poi Piero e infine Alessandra.
Nonna Iride aveva anche una’altra grande qualità, il senso della giustizia. Quando col suo lavoro riuscì a possedere una casa, da lasciare alle figlie, si pose il problema che mia madre non avrebbe mai potuto usufruire del lascito perché si era trasferita a Modena quindi con enormi sacrifici comprò a Modena una casa per la sua figlia fuggitiva perché le sorelle non avrebbero dovuto litigare alla sua morte e tutto fosse stabilito secondo le sue volontà.
Aveva comperato anche la sua tomba, dove adesso riposa insieme alle sue gemelle e dove anche io andrò alla mia morte.
Se ne è andata per un cancro all’intestino a 77 anni il 2 ottobre del 1974 dopo aver visto nascere quattro mesi prima il suo bisnipote, mio figlio. Era già malata a maggio quando io avevo partorito a Firenze, mio marito andò a Ferrara a prenderla appositamente per farle vedere il bambino. Due viaggi andata a ritorno in giornata perché Giuliano potesse avere la sua benedizione.

Nonna Irma

Se nonna Iride era la nonna austera seria, nonna Irma era quella dei sogni e delle pazzie. Anche lei aveva sofferto molto nella vita, nata il 7 dicembre 1896 si era sposata civilmente con l’uomo che amava incinta del suo primo figlio quasi alla fine della prima guerra mondiale nel 1917.
Mio nonno Otello era il più piccolo della sua numerosa famiglia e Irma la piccina di casa Venturelli, l’ultima di 12 figli.
Irma fin da bambina era andata a imparare da sarta e nel tragitto da casa al lavoro passava davanti all’officina di Otello. Lui aggiustava biciclette, quasi un lusso nei primi anni del ‘900. Inoltre Otello era bello, alto, sportivo, non so quando, ma era diventato un arbitro di calcio, tanto che la sezione arbitri di Modena porta ancora oggi il suo nome.
Era anche un anarchico, un ribelle, Irma non lo sapeva, ma nascosta in soffitta c’era anche una pistola che lei trovò solo dopo la sua morte.
Quando c’erano le manifestazioni fasciste veniva prelevato e messo in carcere per precauzione.
Irma amava quell’uomo, così bello e pericoloso, da lui ebbe tre figli a cui erano stati dati nomi fuori del comune: Adler, mio padre, e i gemelli Amos e Athos di 4 anni più piccoli.
Nonna Irma era brava nel suo lavoro, si era messa “in proprio”, lavorava da casa e governava con pugno di ferro in guanto di velluto gli uomini della sua famiglia.
Otello lavorava, Adler cucinava, e i gemelli facevano la spesa e pulivano casa. Lei non aveva tempo per fare altro che lavorare.
La tragedia avvenne nell’estate del 1935, i gemelli avevano 14 anni e, per dal loro un po’ di sollievo dalla calura padana, sono mandati alla colonia giornaliera che il comune organizza per i ragazzi.
In comitiva, con il tram, vanno al fiume per nuotare e divertirsi, ma un incidente uccide Athos. È la fine della felicità e della serenità, Otello impazzisce dal dolore e muore dopo pochi mesi, Irma rimane da sola a continuare a vivere per i due figli rimasti. Adler ha 19 anni, Amos 15, lei non è ancora quarantenne.
Da allora il suo colore è il nero, non si veste altro che di nero ed è così che io la ricordo.
La guerra è una prova dura per Irma che si trova da sola ad affrontarla, Adler è prigioniero in America e Amos in Germania, accanto a lei c’è solo mia madre che già fidanzata con mio padre trascorre del tempo con lei, ma anche lei è una ragazzina. Ha l’età del suo figlio più piccolo.
Lavora Irma, lavora sempre, anche quando le bombardano la casa, che è vicino alla ferrovia, non si perde d’animo, continua a lavorare e diventa sempre più brava.

Io sono nata a Ferrara, ma sono cresciuta a Modena, sul suo tavolo da lavoro, nonna Irma era la mia fata delle pezze e dei bottoni, crescevo circondata da abiti stupendi e colorati che crescevano dalle sue mani e da quelle delle sue lavoranti, mi bastava chiedere e avevo abiti su misura, ricavati spesso da avanzi delle clienti, ma così belli che quando uscivo tutti si giravano a guardarmi.
Ero per mia nonna la modella ideale. Io ero l’unica a cui sorrideva e a cui raccontava storie, giorno dopo giorno crescevo ascoltando le chiacchiere e i pettegolezzi delle ragazze che venivano al laboratorio per imparare da lei.
Non usciva mai di casa, solo il fine settimana si faceva accompagnare al cimitero. La spesa se la faceva mandare a casa, ordinava col telefono o mandava una delle ragazze con la lista, poi calava un cestino dalla finestra del laboratorio ed era tutto fatto.
Non le piaceva il pesce e questo io l’ho preso da lei, ma era una buongustaia per il resto, faceva un ragù che era uno spettacolo di profumo e sapore.
Due volte all’anno rompeva l’isolamento e andava a Milano alle sfilate di moda a comperare i modelli che poi rifaceva per le sue clienti. Qualche volta l’ho accompagnata ed è stato lì con lei che ho cominciato a capire che ero bella e adatta a fare l’indossatrice. Ero magra, alta, con un viso dolce e regolare, un portamento altero (principessa docet). Nonna Irma mi incoraggiava, è stata lei a presentarmi a un suo collega sarto per fare qualche sfilata a Modena ed è stata lei ad accompagnarmi nella mia avventura a Montecatini per il concorso di Miss Italia. Ricordo bene il suo stupore, il suo viso sorridente che mi guardava sfilare con la fascia della miss.
Poi io me ne sono andata a studiare a Firenze e lei è rimasta a Modena nel suo laboratorio. Quando mi sono sposata ha fatto il suo capolavoro. Il mio abito da sposa era bellissimo, di una eleganza raffinata e semplice, degno di una regina delle nevi. Mi sono sposata d’inverno con un mantello bianco sulle spalle, sembravo pronta a essere rapita su un cavallo bianco come la neve che mi circondava.
Poi le cose sono andate diversamente, ma quel giorno ho vissuto davvero al mia favola.
Nonna Irma adorava mio figlio, lo chiamava il suo fagiolino, e gli occhi le brillavano quando lo poteva vedere.

Però il tempo passava anche per lei, mi ricordo che ogni volta che andavo a trovarla la vedevo sempre più stanca, cuciva sempre, ma non aveva più le lavoranti a riempirle il laboratorio, le mode passano, le signore si rivolgevano più ai vestiti confezionati che alla sarta e quindi aveva sempre meno lavoro.
Il tracolllo è avvenuto quando nel 1982 si è ammalata mia mamma. Nonna non riusciva a capacitarsi che una donna giovane e apparentemente sana potesse morire prima di lei, e quando a dicembre mia mamma se ne è andata, ha deciso che era arrivato anche il suo momento.
Dopo poco più di un anno in cui si è consumata lentamente anche lei se ne è andata. Il 17 gennaio 1984 a poco più di 87 anni ha concluso la sua vita.

Questo sono state le mie nonne, le depositarie della mia eredità, mi hanno trasmesso forza, dignità, tenacia, coraggio e tanto amore. Le loro vite di donne solitarie mi sono state di esempio quando anche io mi sono trovata ad affrontare momenti difficili, da loro ho capito che possono anche chiamarci sesso debole, che ci si può piegare sotto la forza del vento della vita, ma che ogni volta ci si può rialzare, e andare avanti con coraggio e dignità.

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