“Quaderno proibito” di Alba de Cespedes


Ho recuperato il libro che avevo già letto in epoche antelucane per rileggerlo con la saggezza della maturità. Probabilmente acquistato quando avevo 17 anni in piena post adolescenza, periodo difficilissimo per qualunque ragazza, non so che cosa ci avevo trovato.

Oggi rileggendo “Quaderno proibito” su sollecitazione del gruppo di lettura “Una sera… un libro” ci ho rivisto uno spaccato dell’Italia post bellica in cui le donne faticavano ancora a farsi valere e le giovani, come me allora, scalpitavano davanti alle restrizioni della morale comune in quel tempo.

Valeria, la protagonista combatte tra il dovere e il piacere, tra un marito e una famiglia pesante e le soddisfazioni del lavoro e degli apprezzamenti del suo capo. Chi è Valeria? E perché il quaderno che lei scrive è proibito, nonché segreto? Lo dice lei stessa a un certo punto quando prende coscienza dell’importanza di quello che sta facendo: “…da quando scrivo in questo quaderno, sento di commettere un grave peccato, un sacrilegio: mi pare di discorrere col diavolo. Nell’aprirlo le mie mani tremano: ho paura.vedo le pagine bianche, fitte di righe parallele, pronte ad accogliere la cronaca delle mie giornate future e già prima di viverle ne sono sgomenta.”

C’è il diavolo dentro le parole che sgorgano fluide, un demone che si chiama scrittura: la scrittura da chiarezza i pensieri, le rende visibili e per questo fanno paura.

Nel diario di Valeria, scritto di notte, nascosto tra i panni sporchi quasi che appartenga a loro, scorrono i pensieri, i dubbi, ma anche le speranze di una donna che non sa, non sa ancora, emanciparsi. Valeria è spietatamente sincera con se stessa, quando confessa i pensieri malevoli nei confronti della futura nuora in cui vede un passato che la riporta alle catene di una vita scialba e di sacrificio. 

Valeria vorrebbe fuggire, andarsene, per quanto tempo? Forse basterebbero pochi giorni per darle di nuovo speranze e fiducia, ma non può, la famiglia rappresentata dal marito e dal figlio, ancora ancorati a stereotipi patriarcali la tiene stretta con legacci, e per quanto provi a divincolarsi non riesce a sciogliersi. Valeria deve rinunciare, rinunciare alle speranze, rinunciare a scrivere, rinunciare a vivere per sé per dedicarsi ai doveri di una “brava donna di casa”. 

Il quaderno proibito deve restare proibito, non solo a lei ma a tutti quelli che potrebbero in un futuro più o meno lontano trovarlo e leggerlo, tanto da decidere di distruggerlo.

A questo punto ho pensato a quante donne, ho saputo, hanno distrutto i propri diari per paura che il contenuto rivelasse ciò che erano e non ciò che volevano far apparire. I diari, i quaderni dovevano rimanere segreti e proibiti perché attraverso di loro passava la crescita consapevole delle donne che sono riuscite a liberarsi solo dopo gli anni della contestazione; ma questa non è la storia di Valeria, è la storia di sua figlia Mirella, è la mia storia, la storia della mia generazione.

Forse allora, quando ho letto “Quaderno proibito” a 17 anni, non ero del tutto ancora consapevole di quello che volevo, di quello che sarebbe stata la mia vita, ma probabilmente è stato uno di quei libri di formazione che visto oggi, dopo 60 anni riesco a riconoscere.

Valeria era mia mamma, io ero Mirella, la figlia che voleva fuggire, e che poi è davvero fuggita incontro al suo destino.

Sì, “Quaderno proibito” mi ha riportato indietro nel tempo, con la sua prosa fluida, semplice, colloquiale, col suo andare a venire tra il resto e scappo, tra gli alti e bassi degli umori di una donna che si sente stretta nelle maglie dei pregiudizi e vorrebbe fuggire. 

Un libro che attraverso vicende private riesce a dare una spaccato della società dei primi anni del dopoguerra.


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