Parlare di morte

L’ingresso della Certosa di Ferrara

Oggi ho letto un articolo che parla dei “Death Café”, cioè dei “Caffè della morte”; sono rimasta sorpresa che esistano luoghi del genere, certo non luoghi fissi, ma incontri di persone che si danno appuntamento in un locale pubblico per parlare di morte.

Dico subito che non ho paura della morte, almeno ora è così – chissà, magari quando la sentirò arrivare sarò spaventata o addirittura terrorizzata – ne parlo con disinvoltura, so che è un momento che arriverà e che ognuno dovrebbe essere preparato ad accoglierla come la fine naturale della propria vita. La cosa che mi potrebbe spaventare è il dolore, che potrebbe esserci prima, prima del momento fatidico in cui morirò.

So che invece tante persone rifuggono dal parlare della morte, evitano proprio l’argomento, fanno come se non esistesse, non ne parlano mai, anzi hanno moti di fastidio se qualcuno accenna all’argomento.L’articolo che ho letto oggi è il racconto dell’esperienza del primo “Death Café” in Italia, non mi stupisco che all’estero ce ne siamo già parecchi. I partecipanti erano tutti “addetti ai lavori”, psicologi e medici che affrontano la morte delle persone soprattutto da un punto di vista professionale, ma che devono, di conseguenza, anche pensare alla propria morte, non tanto da un punto di vista esterno, ma anche personale. Organizzato dall’ordine degli psicologi del Piemonte è uno strumento per confrontarsi sul proprio lavoro, ma anche sulle proprie paure e su quelle del nostro tempo.
C’è un moderatore o una moderatrice che avvia la discussione e la mantiene all’interno del perimetro stabilito, che è elastico come un impasto appiccicoso. Si può finire a parlare di libertà di scelta sul fine vita, di esoterismo, di persone disabili a cui venga a mancare il sostegno familiare, di accompagnamento psicologico alla morte. Il tipo di conversazione dipende moltissimo dal tipo di persone che partecipano“.L’articolo è di Alessandra Pellegrini De Luca che ha partecipato all’incontro in veste di giornalista del Post.

Ma torniamo a me… mi piacerebbe, se ne avessi l’occasione, partecipare a un incontro in cui si parla di morte senza remore e senza paure, in un certo senso esorcizzare lo stereotipo che fa fare gesti superstiziosi a chi sente certi discorsi. Vorrei parlare con serenità di quello che aspetta tutti quanti, e capire non solo con la testa, ma anche con il cuore che se siamo venuti al mondo, siamo destinati anche ad andarcene. Forse parlare di morte può aiutare a vivere più intensamente la propria vita. o almeno a essere consapevoli che finché non arriva siamo parte del mondo e occorre vivere con consapevolezza il tempo che ci è concesso. In fondo la morte è costantemente intorno a noi La vita è piena di morte: le foglie che cadono d’autunno, i rami che si seccano, la pelle che cambia, il lento consumarsi del nostro corpo.

L’articolo racconta anche che in Africa, in Kenia, le bare hanno una piccola finestrelle sul davanti perché serve a far partecipare chi è morto alla festa organizzata per il suo ultimo viaggio. Evidentemente un’altra cultura.
Io ho deciso che sarò cremata; da tanto tempo sono iscritta alla Società di Cremazione di Firenze, mio figlio ha tutte le istruzioni su quello che deve fare, e la mia ultima dimora chiuderà il cerchio, ritornerò nella città dove sono nata a Ferrara accanto alle donne della mia famiglia. O almeno spero che segua i miei desideri, che poi in fondo, se non farà quello che gli ho chiesto a me importerà proprio poco, ormai non ci sarò più.

Qui l’articolo del Post


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