Parapluie


Odio l’acqua, ma è il mio destino starci sempre sotto, sono un ombrello e il mio mestiere è riparare gli esseri umani dalla pioggia, quindi mi ritrovo sempre bagnato fradicio relegato in qualche angolo o appeso a testa in giù da qualche parte. Gli umani sono dei bei soggetti, sapete, a noi ombrelli non fanno mai caso, a parte quando piove naturalmente, allora eccoli a cercarci «Dov’è l’ombrello? Quello bello, quello che ho comperato alla Mostra di Venezia?».
Io per esempio ho già cambiato quattro umani. 

Si sono io l’ombrello bellissimo che tutti vorrebbero e che tutti dimenticano. Triste destino il mio. Sono partito da Venezia, ero in uno stand della Mostra del Cinema, mi avrebbero dovuto regalare come omaggio ai visitatori importanti. So che erano importanti perché non erano loro che mi tenevano sollevato sulle teste di qualche donna che su tacchi vertiginosi correva verso l’automobile. Naturalmente loro mica mi guardavano, ma io sì, a parte i tacchi altissimi erano preoccupate che l’aria umida rovinasse loro la pettinatura e emettevano strani urletti quando non riuscivo a ripararle del tutto, ma come si fa? Sono un ombrello, mica un ombrellone!

Quando è finito il mio andirivieni dall’ingresso del palazzo alle automobili ferme in strada… stagione particolarmente umida deve essere stata perché ho fatto il tragitto parecchie volte, sostenuto da un giovanotto carino, sempre sorridente, mentre andava verso la macchina e arrabbiato come una biscia mentre tornava… Non che io sappia come è una biscia arrabbiata, è solo una espressione che ho sentita… Si, mentre tornava, malgrado io fossi ben sopra la sua testa, e lo riparassi ben bene era tutto un recriminare verso l’incarico che gli avevano dato.

Poi quando è finito tutto e degli uomini in tuta da lavoro stavano smantellando tutto mi ha preso uno di quelli dicendo «Toh! un ombrello dimenticato da qualcuno, bello, col logo del Festival» Non so che cosa è ‘logo’, attorno a me non vedevo nessuno che si chiamasse ‘logo’, ma io e logo siamo arrivati a casa di questo signore -ho poi scoperto che si chiama Caro – che mi ha fatto vedere a una signora che con gridolini di gioia mi ha fatto un mucchio di complimenti. Poi mi hanno messo dento un bidone lungo e stretto assieme ad altri ombrelli come me.

Non ci stavo male lì. Ero in compagnia, chiacchieravo con i miei compagni e ci facevamo un sacco di risate per quello che vedevamo in casa. Caro e Cara erano carini e molto allegri, dal nostro angolo accanto alla porta potevamo vedere e sentire quello che facevano, casa piccola, ma per quello che ci riguardava accogliente.

Poi un giorno sono stato afferrato dalla mano di Cara e sono uscito, era parecchio che non uscivo e mi sono un po’ dovuto sgranchire le stecche, ma ero contento di poter andare con Cara un po’ fuori. Diciamo che il bidone cominciava a starmi un po’ stretto. 

Cara mi ha portato con sé in vari posti, mi sono bagnato bene bene, ma il mio dovere l’ho fatto, nemmeno una goccia è caduta sulla testa della mia padrona.

Poi ha smesso di piovere ed io me ne stavo abbandonato a testa in giù con il manico curvo attorno al suo braccio. Abbiamo ancora camminato un po’ ed era una bella prospettiva vedere il mondo dal basso invece che dall’alto, in perenne competizione con gli altri ombrelli che si incrociavano sulla strada.

A un certo punto sono stato messo in un bidone che non era il solito di casa. C’era un gran via vai, ombrelli che venivano e ombrelli che andavano, di tutti i tipi, Alcuni erano altezzosi perché avevano una scrittura sul manico che loro chiamavano Firma, e snobbavano quelli che non ce l’avevano e anche me che avevo il logo, ma non si vedeva perché ero chiuso…

Ho aspettato molto ma Cara non è tornata a prendermi, per un po’ ho gocciolato dentro al bidone, ero triste, e anche un po’ a disagio, avrei voluto tornare dentro al bidone di casa, ma il tempo passava e io rimanevo lì. Gli altri ombrelli cambiavano sempre, a parte uno che come me era stato dimenticato, ci consolavamo a vicenda e ci difendevamo anche da tutti quegli altri che pretendevano spazio anche quando spazio non c’era.

A volte mi dimenticavo della mia triste situazione e mi divertivo anche ad ascoltare le chiacchiere che sentivo.

Era un posto dove entravano tante “Cara”, si chiamavano tutte così. «Cara buongiorno, Cara buonasera, Cara si accomodi, un momento Cara, e sono da lei» Io ogni volta speravo che fosse la Cara che stava insieme a Caro nel piccolo appartamento, ma non era mai lei.

Un giorno, era passato parecchio tempo e anche l’avvicendamento degli ombrelli era praticamente finito, entrò nel locale una signora che non fu chiamata Cara, ma Signora che chiedeva se per caso avessero degli ombrelli abbandonati nel loro bidone che avevano in mente un progetto.

Come al solito non so che cosa sia un progetto, ma ero molto combattuta tra il volerlo sapere e il non volerlo sapere. La Signora che chiamava tutti Cara indicò il bidone e disse: «Ecco, mi sembra che ce ne siano due che nessuno è più venuto a cercare se vuole può prenderli»

Ed io me ne uscii assieme al mio compagno con la Signora che era venuta a cercare ombrelli abbandonati. Fummo gettati dentro ad una macchina e trovammo altri orfanelli, tutti si chiedevano che cosa ne sarebbe stato di noi, non stava piovendo e tanti ombrelli come potevano essere utili a una signora sola?

Non abbiamo dovuto aspettare molto, siamo stati tutti aperti, eravamo tantissimi e ci hanno fatto volare in alto, ci hanno appesi a dei fili ed eravamo tutti spalancati anche se non pioveva, ma tutti insieme facevamo un grande tappeto volante di ombrelli colorati.

Sono ancora quassù, è bellissimo guardare in basso e vedere tutti gli umani che camminano e la sera le luci che si accendono. Si sussurra fra noi che fra  poco sarà Natale, non so che cosa è Natale, ma deve essere una cosa allegra perché tutti guardano in su, e dicono: «Che belli!»

Ed io sono felice perché sono uscito, ma nessuno si è armato di me. 


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