
Non sapeva che si chiamasse angoscia fino a che non le si presentò sotto forma di sogno una notte in cui credeva che il pozzo nero della vita la stesse inghiottendo fino alla fine del mondo.
Un pozzo tanto profondo di cui non si vedeva la fine e che la stava facendo precipitare non sapeva dove.
Un sogno le aveva aperto gli occhi una notte che non riusciva a dormire e in cui un attimo di tregua le aveva fatto chiudere gli occhi più per sfinitezza che per stanchezza.
Aveva visto se stessa sola e indifesa, talmente indifesa sotto gli occhi di chi la stava guardando che tutta l’angoscia le si rovesciò addosso senza potersi difendere.
E allora capì, capì che stava per arrivare alla fine, che il pozzo avrebbe visto il suo corpo sul fondo, un corpo nudo e ferito, che l’avrebbe accolto in un mondo migliore.
Il suo lutto si stava compiendo, capì all’improvviso che l’unica soluzione era andarsene in silenzio, come se ne era andato il suo orgoglio, la considerazione di sé, la sicurezza di donna che si credeva amata e che invece era solo stata usata.
Angoscia, terribile, riusciva a malapena a respirare, ogni soluzione razionale era lontana, ogni pensiero positivo era svanito, restava solo la solitudine, il dolore, la sensazione terribile di essere impotente e inutile sulla terra.
Fu allora che capì quello che doveva fare, e lasciò che l’angoscia prendesse il sopravvento.

Testo pubblicato sul blog del Gruppo Scrittori Firenze il 3 giugno 2023 per il “Week-End del Narratore”
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