No, No…


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Stamattina ho fatto il mio primo viaggio all’ospedale in cui dovrò sottopormi a terapia. Non nascondo che avevo un certo timore, non per ciò che mi sarebbe stato detto -che a grandi linee lo sapevo o lo intuivo già- quanto piuttosto per il trasferimento da casa in un momento così delicato per me, per tutti, per il paese intero.

C’erano pochissime macchine in giro, il tragitto che normalmente è sempre molto trafficato era assurdamente libero. Intorno alla Fortezza ho infilato i semafori senza fare nessuna coda. Incredibile!

Mi guardavo introno e vedevo una città svuotata, negozi chiusi, pochissime persone a piedi. Bene, dicevo tra me, vuol dire che sono tutti a casa, Arrivata all’altezza della grande rotonda prima di imboccare la via che porta all’ospedale ecco che incontro un posto di blocco. Sono pronta, ho con me l’autocertificazione che dice dove devo andare e perché, sono tranquilla. Mi viene incontro una gentilissima vigilessa che mi chiede oltre all’autocertificazione, libretto, patente e assicurazione. Le consegno tutti i documenti e attendo in macchina, Ho mascherina, guanti di lattice, riesco a sorridere solo con gli occhi. Ma lei non ride, seria mi restituisce l’autocertificazione dicendomi: “Lei non mi ha visto, se l’avessi vista le dovrei fare una multa di 160,00 euro. La revisione della sua auto è scaduta. Mi raccomando entro oggi trovi un meccanico e si metta in regola”.

Rimango basita, ma ringrazio e riparto, ora ho anche la preoccupazione della macchina oltre quella del mio appuntamento all’ospedale. Dove posso andare a fare la revisione in un periodo in cui sono tutti chiusi? Non importa, troverò qualcuno aperto, immagino che anche questa sia una di quelle cose essenziali… altrimenti le macchine come potrebbero circolare? Ora devo solo pensare alla mia visita, poi penserò alla macchina. Arrivo, parcheggio, mi dirigo all’ingresso, blocco! Temperatura, domanda di rito: “Ha tosse e febbre?”, rispondo di no e arrivo al terzo piano. Oncologia. Dovrò abituarmi a questa parola.

Nella grande sala di attesa ci sono pochissime persone, Tante sedie su cui cartelli minacciosi intimano “No”, “No”. Non ci si può sedere vicini, se anche fossi venuta con qualcuno avremmo dovuto rispettare le distanze.

Mi chiamano, ecco ci siamo,  Di nuovo ripeto come sono arrivata fin lì, e la dottoressa mi spiega a che tipo di trattamento verrò sottoposta. L’intento è la remissione -non dei miei peccati- ma della malattia.

Mi elenca una serie interminabile di effetti collaterali, che spero non si verifichino o che si verifichino solo parzialmente… e mi fa firmare il consenso al trattamento. Fatto. Ora sono ufficialmente una paziente oncologica.

La dottoressa è giovane e carina, capelli neri mossi, la mascherina mi impedisce di vedere la parte inferiore del volto, ma gli occhi sono attenti e carezzevoli, mi guarda, non sfugge il mio sguardo. Parla con me con pacatezza e fiducia, non nasconde né edulcora, ma riesce lo stesso a far capire che tutto quello che verrà fatto sarà per la guarigione. Mi rassicura dicendo che sarò seguita passo passo che potrò contare su medici che si prenderanno cura di me. Sa che vengo da lontano e si preoccupa di accelerare alcuni passaggi fondamentali, mi sarà subito fatto il prelievo per le analisi del sangue, Mi pilota da una infermiera sorridente, si capisce che sorride anche se porta anche lei la mascherina -come tutti del resto- anzi i suoi occhi addirittura ridono, sono allegri, Trova subito la vena, con sicurezza, poi quando quattro o cinque provette si sono riempite mi tiene premuto con la mano il punto del prelievo. “No, no, faccio io!! Io premo forte, così poi non può venire a a dire che le è rimasto il livido!” Scherza, i suoi gesti sono sicuri, precisi, mi saluta come se fossi una persona amica, che conosce da tanto tempo. “Ci vediamo lunedì prossimo”. Sono diventata una habitué. Ci vedremo, si, ci vedremo spesso, immagino.

Lunedì dovrò tornare mi metteranno il Picc attraverso cui verranno fatte le infusioni. Nel momento in cui me lo comunicano ricordo immediatamente quando l’ho visto al braccio di mia sorella. Farà male? Darà fastidio? Sarà la prima cosa a cui dovrò adattarmi. Il segno permanente e visibile della malattia.

Finito, abbiamo finito, mi consegnano i fogli da consegnare alla mia dottoressa e ribadito l’appuntamento, posso andare. La mia mente si chiude come con una saracinesca sulla stanza tumore e apro quella sul problema automobile. Mentre ero in ospedale avevo attivato mio figlio nella ricerca di una officina. Benedetti telefonini, benedetto WhatsApp! Benedetta  la rete che è sempre accessibile! Mio figlio ha trovato una autoofficina, mi ci fiondo prima di tornare a casa. È aperta, è vuota e fanno su due piedi la revisione. Sospiro di sollievo, ora sono in regola. Ringrazio mentalmente la vigilessa che mi ha fermato, la sua gentilezza, la sua comprensione…

Arrivo a casa affamata, assetata, la tensione mi aveva fatto dimenticare tutto, bevo e cucino, finalmente posso rilassarmi. Fino a lunedì prossimo me ne starò tranquilla in casa, è la regola!


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