Nientepopodimeno


L’incontro di stamattina con la dottoressa a oncologia ha chiarito un po’ della confusione che avevo in testa. Il rinvio dell’incontro con Mister Kemio probabilmente è diventato un annullamento dell’appuntamento. Non che mi dispiaccia, anzi… ne sono felice, anche se fino all’ultimo non voglio farmi illusioni. Una telefonata poi da oncologia nel pomeriggio mi ha confermato che probabilmente anche in reparto avevano fatto un po’ di confusione. Annulla, cambia  appuntamento, poi chiedi, poi cambia ancora… ecc…
Probabilmente è stato il medico che gestisce il Signor Radio ad avvisare su al terzo piano che è inutile che io faccia la Kemio se finisco la Radio. Ho saputo che Mister Kemio era a esclusivo sevizio del signor Radio, doveva servire a predisporre il mio corpo alle radiazioni della macchina mostro del sottosuolo.
Bene detto questo, che mi ha confortata on poco, al mio ritorno a casa ero quasi euforica, un po’ ubriaca delle nuove conoscenze che avevo.
Mi sentivo tanto bene che ho deciso di partecipare alla chat che le mie amiche del gruppo di filosofia organizzano settimanalmente. Parlare di filosofia, in questo periodo può sembrare inutile, invece mi dà molto conforto, perché sento che la filosofia adesso permea tutta la vita, ciò che fa muovere le persone e gli argomenti di cui riusciamo a parlare sono basilari e fondamentali nella gestione anche della vita quotidiana di signore attempate che ancora si sentono in dovere di essere prudenti nell’affrontare il mondo.
Già la prudenza… che contrasta con i nostri bisogni  e desideri. La discussione, no, il confronto è stato un percorso circolare che da bisogni e desideri ci ha riportato a desideri e bisogni.
Non è stato un collegamento facile,  delle mie interlocutrici vedevo spesso solo la cima della testa o pezzetti di faccia, ma non importava, le parole si sentivano ed erano le parole che erano importanti.
Le parole… è un po’ di tempo che la mia vita quotidiana viaggia intorno alle parole, spesso più scritte che dette, abito da sola e quindi non ho nessuno con cui parlare, le mie elucubrazioni si svolgono quasi esclusivamente attraverso la scrittura, e so bene quanto sia difficile farsi capire quando mancano le espressioni del volto, le inflessioni della voce,  i gesti del corpo. Le parole fluttuano, cambiano significato, ognuno, anche nelle più comuni ci legge quello che vuole. Le parole si addomesticano secondo il nostro desiderio o bisogno.
Lo sanno bene coloro che devono comunicare sui social, il mestiere difficile del “social media manager”, di chi deve far passare un messaggio attraverso parole che corrono su piattaforme in cui chi legge – ma poi legge? – ha solo fretta di mettere un pollice in su o un cuoricino.
Spesso mi sono stupita e interrogata quando dopo aver scritto un posi un po’ più lungo appaiono i “like” due secondi dopo che ho pubblicato… mah?
O c’è tanta fiducia in quello che scrivo o ci sono compulsivi cronici con la sindrome del clic!
Ma questa è solo una mia considerazione… non avallata scientificamente.

Per tornare alle parole, ieri mi è capitata sotto gli occhi ‘nientepopodimeno’ ed il mio pensiero è andato immediatamente a Mario Riva, al Musichiere e agli anni ’60 quando su televisori in bianco e nero ci si divertiva collettivamente con il brio e l’allegria di trasmissioni semplici che non si chiamavano ancora Format e facevano a gare ad attirare le persone assieme a “La scia e raddoppia” che ha gatto la fortuna del Mike nazionale. Purtroppo Mario Riva non ha avuto la stessa fortuna, se ne è andato presto e all’improvviso, assieme alla sua esclamazione: “ed ora… nientepopodieno che …” che annunciava mirabilia e aspettative.
A casa mia il televisore è arrivato relativamente presto, ricordo quindi – nel ’60 avevo 13 ani – le serate in cui ci si riuniva per l’appuntamento con lo spettacolo. Abitavo ancora nella casa dei maestri, si chiamava così perché era stata costruita da una cooperativa dei maestri e lavoratori della scuola, io ero la più grande, mia sorella aveva appena 3 anni e c’erano tanti bambini… alcuni di quei bambini li ho rivisti qualche tempo fa in un incontro organizzato da uno di loro. Non ne ho riconosciuto praticamente nessuno, troppo tempo era passato e troppo diversi eravamo diventati tutti. Eravamo nientepopodimeno che adulti, quasi vecchi, tutti o quasi pensionati, con strade tracciate, sentieri percorsi con passi diversi.
Una tristezza!

Ma sento che ho divagato, succede sempre così quando ci si lascia prendere dalle parole che ci portano lontano.
Insomma… oggi è stata una buona giornata..


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