Forse sono una ingenua, ma non smetto mai di meravigliarmi e di essere curiosa, potrei passare per stupida e infantile nelle mie manifestazioni e reazioni per cose che forse per altri non significano niente o molto poco. Credo che tutto questo derivi dal mio passato sognatore che, oltre che a portarmi molti guai, ma ha anche consolato in momenti tristi. Riuscire a trovare la parte bella delle cose che accadono nella vita è un antidoto che fa affrontare i veleni dei morsi di chi mi vuol male.
Nelle ultime ore sono successe due cose che mi hanno consolata e mi hanno fatta uscire da quel “altro ieri” in cui mi sentivo un po’ giù.
È arrivata posta, assieme al libro di Daria Bignardi di cui parlerò con calma più avanti, è arrivata una lettera. Non una di quelle lettere commerciali che infestano le cassette e rendono triste il mio postino – che sia triste a consegnare fatture e pubblicità lo penso io… chissà se è vero – ma una vera lettera con tanto di francobollo e indirizzo scritto a mano.
La apro con curiosità e mi compare un’altra busta, bellissima, decorata a motivi floreali in bianco e nero poi aperta anche questa busta – intonsa, troppo bella per scriverci sopra un indirizzo ed essere profanata con timbri brutali – una esplosione di colori, fiori coloratissimi che riempiono due pagine. Devo girare i fogli per scoprire chi mi ha mandato questa meraviglia e quando lo scopro – che stupida, non avevo guardato il mittente sulla prima busta – non posso che esclamare: «Non poteva essere che lei», Piera, l’allieva lontana che è diventata amica anche se non ci siamo mai incontrate. Le sue parole sono “solo” saluti, ma è tanta la gioia che traspare nell’aver pensato a me che mi commuovo. So solo che penso: «Ecco questa è una piccola felicità da registrare» perché se non te le segni le felicità, grandi o piccole, arrivi che alla fine credi che non ci siano mai state.
Il secondo episodio, stamattina mentre camminavo sulla via dell’Antella con il traffico che sfrecciava al mio fianco, e il disappunto di non riuscire a sentire – non so perché – il libro che avevo scelto. Alzo gli occhi e nel cielo nuvoloso, a tratti coperto e a tratti no, un puntolino. Aguzzo lo sguardo – è noto che la vista non sia il mio forte – e riconosco una mongolfiera. È altissima nel cielo, a volte scompare dietro una nuvola, si nasconde e poi riappare, sempre lassù quasi indistinta.
Sono le 7 di mattina, chissà chi sta veleggiando silenziosamente nel cielo? Penso che vorrei esserci anche io, che deve essere bellissimo guardare silenziosamente il mondo dall’altro, penso che le persone che stanno nella navicella appesa al grande pallone devono avere scelto di innalzarsi in volo prestissimo stamattina, probabilmente quando era ancora buio. Ammiro il loro coraggio, la determinazione di volare con qualsiasi tempo, di lasciarsi andare alle correnti e al vento, di applicare la fiducia in ciò che avverrà; il loro volo come metafora della vita, perché non sappiamo, anche noi che stiamo con i piedi per terra, dove ci porterà il vento. Riesco a sorridere, e cammino più spedita, arrivo sotto casa di mio figlio e telefono a mio nipote. Oggi è il suo primo giorno dell’ultimo anno delle medie – lo so che non si chiamano più così – gli faccio gli auguri, gli mando un bacio e torno a casa. Posso cominciare la mia giornata.




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