
Ho affrontato con molte aspettative il libro di Margaret Atwood “L’uovo di Barbablù”, forse perché avevo tanto apprezzato il suo “Il racconto dell’Ancella” e anche un saggio molto interessante “Negoziando con le ombre”.
Forse perché “L’uovo di Barbablù” non è un romanzo, ma una raccolta di racconti, non sono riuscita a entrare in nessuna delle storie che ha raccontato. Non so se è un mio difetto non riuscire a farmi coinvolgere da un racconto, troppo breve per prendermi fino in fondo, per poi passare ad altro.
Un libro di racconti andrebbe letto, credo, centellinandolo, un pezzetto alla volta, poi fermarsi, digerire e morsicarne un altro pezzetto, invece a me piace la trama, la storia che si snoda pagina dopo pagina a formare un affresco completo e complicato.
I racconti della Atwood sono tutti incentrati, tranne i primi due che riguardano ricordi autobiografici della madre e dell’adolescenza, su donne problematiche e lacerate.
Anche quando apparentemente il protagonista è di genere maschile ecco che alla fine l’ultima parola ce l’ha sempre una donna. Ingenua o perfida, spaesata o dubbiosa, piena di rimorsi o sollevata.
Come nel racconto “Scorfana” dove l’appellativo non si riferisce a una donna ma una gatta che fa una brutta fine per mano di una donna, o “Loulou” che presa in giro per la vita da mariti e amanti poeti si vendica con l’uomo più improbabile: un commercialista.
Nel racconto che da il nome alla raccolta, l’uovo compare solo alla fine ma aleggia per tutto il racconto come una presenza misteriosa. Chi è l’uovo? Che cosa è l’uovo? Che cosa contiene di tanto pauroso da annidarsi nella mente di Sally, che come una chioccia lo cova senza sapere che cosa nascerà?
È la gelosia, la presunzione, l’idea di essere la migliore, l’intoccabile, che la travolge nel momento in cui si insinua il dubbio? Chi è Ed, il marito stupido oppure l’uomo che si fa credere stupido? È come la storia rovesciata di Barbablù, che prende vesti femminili e divora tutto ciò che la circonda.
Margaret Atwood scrive da par suo i racconti con una prosa elegante e scorrevole, ma le storie non sono mai lineari. Partono da un punto e quando si pensa debbano portare a una conclusione ovvia, divergono e prendono un’altra strada, cambia il protagonista, cambiano i luoghi, cambiano i tempi, e ci si trova sballottati nel giro di pochi paragrafi da un pensiero all’altro, da un mondo all’altro.
Anche l’ultimo racconto “Musica per dissotterramenti” credo che sia vagamente autobiografico, ma scorre come un flusso di coscienza in cui i pensieri della figlia corrono dal padre alla madre in un susseguirsi di ricordi e aneddoti, rimarcando, senza mai dirlo lo stupore che i genitori ancora hanno verso le meraviglie del mondo e della natura. Dallo choc iniziale della rivelazione che i genitori fanno alla figlia si percorre la foresta e il paese per rincorrere le stagioni, fino al ritrovamento sul tetto della casa di qualcosa che per loro è più prezioso dell’oro: merda di martora. La natura esiste ancora e si fa sentire.
Insomma, un potpourri di sensazioni, una cavalcata da un racconto all’altro che non mi ha mai fatto soffermare veramente su una storia, ma un carosello di storie che pur scritte in modo affascinate e arguto non hanno saputo conquistarmi del tutto.
Certamente, come ho detto, limite mio, non certo limite di una grande scrittrice come la Atwood che ha cercato di trascinarmi nel racconto. Peccato che non ci sia riuscita.
Per leggere i libri della Atwood:
“Il racconto dell’ancella” Ponte alle Grazie, edizione digitale, edizione cartacea.
“Negoziando con le ombre” Ponte alle Grazie, edizione cartacea.
“L’uovo di Barbablù” Editore Racconti, edizione digitale, edizione cartacea.