
Spesso come un pesciolino che abbocca all’amo mi faccio prendere dall’acquisto di un libro che fa presa sulla mia parte sinistra del cervello: quella razionale, quella logica che però deve avere molti punti in comune con l’altra quella irriverente e fantasiosa perché a volte mi ritrovo a passeggiare coi pensieri in su e giù attraversando ponti che scavalcano il corpo calloso in una girandola di razionalità ed emozioni.
Ho comperato “Libera il futuro” di Mafe de Baggis perché attirata dalla mia curiosità per una persona, l’autrice, che sento molto vicina a me. Vicina in senso metaforico, lei è giovane, pimpante, fa un mestiere che le dà un sacco di soddisfazioni, donna di successo – direi – io su con l’età, pigra per necessità e ormai fuori dal mondo lavorativo; ma una cosa ho sentito che ci accomuna: la curiosità per un mondo che a un certo punto della vita ci è arrivato incontro di corsa – e ancora corre – e ci ha travolto.
Liberare il futuro è un inno alle possibilità che ci offre la rete se usata bene, con responsabilità con cognizione di causa. Il sottotitolo “Quindici lezioni dal digitale per migliorare il nostro mondo” è un po’ utopico, il mondo da migliorare avrebbe bisogno oltre che del digitale di una buona dose di saggezza e altruismo, ma può essere un buon inizio.
Mafe – diminutivo di un qualche nome del sud troppo lungo? – ci racconta il suo futuro digitale, di donna che ci vive nella rete, come me del resto, e che ne capisce le potenzialità; fa della rete un modo di vivere e muoversi, intrecciando considerazioni e inviti ad agire di conseguenza. In questo ci ho visto molta affinità con la mia anima autobiografica, i consigli per capire meglio sono spesso consigli non tanto per capire meglio cosa è la rete, ma capire meglio chi si è, come si vive nel mondo che sta sempre più cambiando.
Mi è tornata un po’ di nostalgia quando l’autrice ricorda i suoi primi passi digitali, passi incerti, più da esploratrice che da competente. Guardando indietro, il futuro che ci viene prospettato oggi è fantascienza rispetto a quello che si credeva di trovare 30 anni fa. Ma lo scopo è sempre quello di giocare, come dice l’autrice nell’introduzione.
Ricordo che i primissimi tempi quando picchiavo sui tasti del mio Spectrum, se qualcuno mi vedeva diceva: «Che fai? Giochi? alla tua età?» allora avevo 45 anni, una vecchietta! Ma ho continuato a giocare, e da quello che ho letto anche chi ha scritto questo libro ha continuato dopo i primi tentativi molto più precoci dei miei.
Le quindici lezioni e i quindici conseguenti esercizi proposti, sono – secondo me – poco digitali e molto personali, ma va bene! Deve essere così perché anche se si bazzica il web, la rete, internet, in qualunque modo la si voglia chiamare, si deve restare umani, si deve restare esseri intelligenti e mai dimenticare che dietro quella tastiera, che anche adesso sta sotto le mie dita, c’è una macchina stupida a cui si può far fare dire ciò che si vuole. L’umano ha il controllo e deve ricordarselo. Anche quella che ora chiamano IA (intelligenza artificiale) è – appunto – artificiale e non potrà mai avere un’anima, l’anima ce l’ha chi l’ha progettata; sta a chi la usa farne un mezzo di crescita o di morte.
Mi rendo conto che forse non ho raccontato tanto del libro di Mafe de Baggis, ma spero che chi mi legge mi perdoni e magari lo apra per capire se, magari, mi sono fatta trasportare dall’entusiasmo e ho detto delle grandi sciocchezze.
Dimenticavo ottima la bibliografia non solo tecnica, ma anche umanistica e l’elenco delle fonti in rete a cui attingere.