Lauretta


“Unica delusione della mia vita!” disse Maurizio, una sera, mentre si parlava di delusioni

“non sempre sono stato fortunato nelle mie avventure, voi ridete, ma è così!”

“Racconta allora!” chiedemmo noi come al solito desiderosi di astraniarci dalla vita chiusa dai reticolati con racconti che ci portavano nel libero spazio del cielo attraverso la fiumana dei ricordi. E Maurizio raccontò.

“Unica delusione della mia vita, unica sconfitta. Avevo allora diciassette o diciotto anni, ma ero molto ragazzino, molto più ragazzino che non siano altri a quella età. Mi perdevo, mi ricordo, in solaio a fare le marionette ad alcuni ragazzini del rione, oppure a fare comete o aquiloni; come volete chiamarli, oppure a fare la lanterna magica.

Naturalmente mio papà mi guardava con disgusto e pensava male di me. Aveva ragione: “Pelandrone vai a “moroso” che è meglio” mi diceva. Io naturalmente mi sentivo ferito e senza abbandonare quei giochetti, che mi sollazzavano abbastanza, cominciai a frequentare la domenica, un ballo pubblico. Studentine, servette, sartine, erano l’elemento base e predominante dell’elemento femminile.

Ricordo il pomeriggio in cui conobbi Lauretta. Era una studentina sedicenne, superbietta… eh! l’avessi incontrata più tardi l’averi domata, ma che volete, allora non ci sapevo fare!

La invitai per un giro di danza, poi per un altro, un altro ancora; poi vedendo che qualche altro giovanotto si portava la ragazzetta su nella galleria che circondava la sala, io feci altrettanto.

Naturalmente non sapevo che dire e nemmeno come comportarmi. Era carina, non c’è che dire, ed allora prendendo il coraggio a quattro mani, fissandola ardentemente negli occhi le dissi:
“Lauretta volete essere la mia fidanzata?”
Mi rispose con un tremulo si.

Avevo vinto, mi sentivo un cuore di leone. L’accompagnai a casa, imparai dove abitava, seppi che era figlia di uno dei più ricchi macellai della città. E felice per la conquista presi un appuntamento per un giorno della settimana veniente.

Ricordo l’orgoglio mio di quella sera che impomatato e tirato a lucido, mentre stavo per montare in bicicletta e correre dalla ragazza, venni interpellato da mio padre: “dove vai?” risposi arzillo come un galletto: “a spasso!” che tempi, che tempi!

Ci trovavamo di solito in un vialone solitario, dove a primavera veniva il “Luna-Park” e li appoggiati a una grossa quercia ci sussurravamo paroline stupide. Le davo qualche bacio, e quando penso che allora non sapevo ancora baciare mi darei delle mazzate in testa. Che figura da cretino ci dovevo fare! Il fatto che una sera non venne e da allora mai più.

La rividi poi in qualche altro ballo, e una volta feci la scempiaggine di avvicinarmi e chiederle un ballo alla quale domanda mi rispose con un secco “no”. Che figura! Io mi rodevo ma che ci dovevo fare? Giurai vendetta, ma come avviene di solito in un tipo pacifico come me, dimenticai.

La rividi un giorno quando non ero più un ragazzo, vestivo la brillante divisa da sottotenente, mi voltai dall’altra parte e così ogni volta che la vidi. Seppi che si era sposata con un uomo molto più anziano di lei. Non l’ho dimenticata ancora, chissà che un giorno non abbia la gioia di ritrovarla sul mio cammino, ha trovato il merlo coi quattrini, chissà che io senza…” e Maurizio ci guardò brutto

“Calma Maurizio, ci vuole pazienza sono cose che capitano, e forse ognuno di noi ha un fatterello del genere nella propria vita!”