
Comincio con la frase di presentazione del libro; lo stesso Carrère dice che: «a mano a mano che procedevo nella storia ero sempre più terrorizzato». Ebbene io tutto questo terrore non ce l’ho trovato. E questo è già anticipare quello che ho pensato di questo libro, una storia che racconta di un bambino, Nicolas, con molti problemi, timido, impacciato, solitario, più per volere degli altri che per suo desiderio che si trova a passare una settimana in montagna con la scuola.
Che durante la settimana succeda in paese l’omicidio di un ragazzino è una parentesi che va ad alimentare la fantasia di Nicolas, assieme all’assenza del padre che prima lo vuole accompagnare di persona allo chalet dove la scolaresca soggiornerà e poi si dimentica il bagaglio in macchina costringendo il figlio a elemosinare gli indumenti che gli servono nel soggiorno in montagna.
Ho detto che Nicolas è un ragazzino timido e insicuro, tenuto nell’isolamento dai genitori, disavvezzo a convivere con i compagni, considerato nella classe quello che sta a margini, e quindi costretto a rifugiarsi in un mondo di fantasie solitarie, terrorizzato – lui sì – se qualcuno lo mette al centro dell’attenzione e nello stesso tempo desideroso proprio di quell’attenzione di cui ha paura.
Non gli sembra vero quando il bullo della classe, quello più problematico, il capobanda tipo “guerra dei bottoni”, lo prende sotto la sua protezione, senza capire fino in fondo perché lo faccia, ma appagato di una temporaneo sollievo alla sua solitudine.
È chiaro che è Nicolas il vero protagonista del romanzo, è lui che vive tutte le contraddizioni e le ansie, è lui che non sa quello che gli succede intorno, perché troppo ingenuo e candido per capire.
È lui che legge storie di paura trovate nella libreria di casa, come succede a tutti i ragazzini che amano le favole truculente di orchi e mostri.
Peccato che lui, e questo lo si intuisce, più che saperlo con certezza, il mostro ce l’abbia in casa, si perché Carrére non ci dice niente, allude, fa indovinare, supporre, sussurra, ma ce lo vuoi dire fuori dai denti chi lo ha ammazzato questo benedetto bambino?
Altra cosa che non ho capito, scusate l’ignoranza. Perché Carrère ci mette un capitolo avulso da tutta la storia, un episodio che succede vent’anni dopo, a tre quarti del libro? Che cosa ci vuol dire? Che il bullo è sempre più bullo e pazzo e che Nicolas è uscito dall’incubo? Si sono sbagliati a impaginare? Ditecelo!
Insomma una storia che gira attorno a un bambino disadattato per ragioni che possiamo solo intuire.
Carrére scrive bene, tutto scorre, l’autore si sente che è un maestro della scrittura, ma a me ha lasciato con molte perplessità. Fate voi…
Una risposta a “Emmanuel Carrère: “La settimana bianca””
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