
Capita poche volte di rimanere sorpresa e stupita di leggere un libro che non ti aspettavi. È successo.
Quando me l’hanno proposto pensavo di leggere il solito libro ecologista, di qualcuno, una donna in questo caso, appassionata di alberi che ce li spiegava e faceva conoscere, con amore, è vero, ma niente di più, invece mi sono trovata immersa in una storia che mi ha appassionato non tanto per la trama, comunque avvincente, ma per come è scritto.
La “donna degli alberi” è un libro in prosa, scritto con lo stile della poesia. È un’ode alla vita, alla natura, alle piccole cose che si possono trovare intorno a una baita di montagna.
Il racconto è scandito dal trascorrere dei mesi, Un anno di vita solitaria in una casa alle pendici di un imprecisato Monte; vita solitaria all’interno della casa, ma ricchissima di incontri, di pensieri, di emozioni che fanno diventare il “cuore come un tuono” che rimbomba nel petto.
Che dire della descrizione del lago la cui “superficie ha preso l’aspetto di una stoffa stropicciata” o “la luce di casa (che) ha verniciato la neve” aprendo la porta.
La solitudine diventa così intensa che a volte parlando con se stessi “si prende il calore della voce”, “A volte si tratta solo di non riempire il vuoto a tutti i costi di scegliere di non volere niente dalla vita e accogliere la paura che non ha motivo”.
La paura, la distrazione ruba lo sguardo, rende incapaci, insensibili agli impercettibili mutamenti che non ci riguardano da vicino. La distrazione ci fa egoisti. Non guardare rende distanti, invece occorre attenzione per le piccole cose, per gli animali che abitano la montagna, la volpe che cerca cibo, il gufo che cerca riparo, il cane che cerca un padrone.
In questo libro non ci sono nomi, la donna è donna e basta, gli altri sono semplicemente la Rossa, la Guaritrice, la Benefattrice e poi lo Straniero, il Boscaiolo e poi la Ragazza…
Spogliati dei loro nomi i personaggi della storia diventano universali e si collocano all’interno di un microcosmo poetico che circonda la solitudine della donna.
Anche quando la tragedia colpisce, la valanga cade o l’incendio divampa poi ci si deve rialzare e continuare a portare avanti la missione che ci si è prefissa.
La donna dopo un anno di permanenza al paese ha conquistalo un nome e “quando si ha un nome si ha un luogo al quale tornare”. Nel momento del congedo “non riuscire a piangere è sembrata una disgrazia” e camminare piano sulla strada diventa la scusa perfetta per non arrivare mai”. Il posto della “Donna degli alberi” è sulla montagna dove albero, uomo e animale hanno uguale valore.
Un percorso di crescita, di consapevolezza, di sofferenza che però diventa nuova nascita proprio a partire dall’attribuzione del nuovo nome.
Un anno è lungo in montagna, specialmente se si è soli e si sono lasciate dietro di sé le cose che non si comprendono, per imparare a stare senza rimpianti senza voler essere continuamente altrove.
L’ambiente ostile a poco a poco diventa famigliare, gli scricchiolii iniziali della baita a poco a poco si trasformano in sussurri che parlano con la voce dei ricordi. La donna cerca se stessa, dopo essersi perduta nella città, cerca la figlia che era, cerca il padre e la madre, nei gesti antichi tramandati, che ripete con l’istinto e la conoscenza innata del corpo.
Questo è un libro da leggere, da assaporare parola per parola, da sentire nel lento scorrere delle stagioni. Una poesia in prosa, non credevo fosse possibile.