“Killers of the flower moon”: il film

Un film epico, come non ne vedevo da tanto tempo. Per certe scene mi ha ricordato “C’era una volta il west” con quelle carrellate della macchina da presa che comprende i grandi spazi, e le folle che si accalcano nei villaggi sperduti nella prateria. Ma non solo, il film è epico anche per la durata, avere il coraggio di tenere lo spettatore inchiodato alla sedia per 3 ore e mezzo è da coraggiosi. Dico tre ore e mezzo! E non ti viene nemmeno la voglia di alzarti per andare in bagno!

La storia è un western all’incontrario, qui i cattivi sono i bianchi e i buoni gli indiani, non ci sono archi e frecce, ma petrolio e soldi, tanti soldi che da che è mondo è mondo attirano sciacalli come mosche.

Gli indiani buoni, che si sono trovati pure ricchi, sono sotto attacco, muoiono, in tanti, e le loro ricchezze, le loro concessioni  vanno a chi ha saputo raggirarli ben bene.

La trama è tratta da una storia vera, una brutta storia avvenuta negli anni ’20 negli Stati Uniti, e dove se no? I personaggi attorno a cui gira la vicenda sono tre: “l’ingenuo, la bella e il cattivo” – per parafrasare il film di Sergio Leone a cui si aggiunge nel finale “il buono” nei panni dell’agente dell’FBI che mette a posto le cose.

L’ingenuo è impersonato da Leonardo Dicaprio, magistrale nella sua interpretazione di chi non sa mai da che parte stare, reduce dalla Prima Guerra mondiale, torna a casa e scopre che il  mondo è cambiato, i ruoli sono cambiati, deve lavorare per mantenersi e lavorando come autista si innamora. Potrebbe sembrare una banale storia d’amore e invece no, perché la bella non è bianca, ma rossa di pelle, potenzialmente ricca e naturalmente buon partito.La bella è lei Molly interpretata da una attrice vera nativa americana (Lily Gladstone), cicciottella, aggraziata, intelligente, ma purtroppo malata di diabete e, particolare non da poco, enormemente ricca.

Anche Molly si innamora e diventa la moglie di Ernest/Dicaprio.

Ed ecco entrare in scena il cattivo interpretato da Robert De Niro, zio di Ernest, accoglie il nipote, lo incoraggia a corteggiare la fanciulla e poi a sposarla, ma sotto gli atteggiamenti affettuosi e paternalistici, si nasconde il diavolo. Zio William è un manipolatore, un machiavellico personaggio, adulatore, doppiogiochista, diabolico, tiene le fila di un piano assassino, che porta a uccidere uno dopo l’altro i nativi per impadronirsi dei loro averi.

Ma ogni tanto capita anche al diavolo di sbagliare ed ecco allora entrare in scena il buono impersonato da un agente dell’FBI e dalla sua squadra che con pazienza riesce a trovare prove e testimonianze per incastrare bianchi cattivi.

Non dico come va a finire, anche se la conclusione è pubblica e pubblicata, se avete voglia di passare tre ore e mezza al cinema potrete vederlo. Oppure leggere il libro da cui è stato tratto: “Gli assassini della terra rossa” di David Grann.

E ora veniamo al regista Martin Scorzese che ha saputo dirigere due mostri sacri del cinema in un film che sicuramente farà epoca, un po’ per la trama – come ho detto – al contrario, un po’ per aver saputo dare un ritmo a tutta la vicenda, intrecciando omicidi e amore, cattiveria e ingenuità, la nascita dell’FBI e l’onore dei nativi. Scorzese ha voluto affrontare ancora una volta in un suo film la violenza dell’uomo, il suo essere preda delle più forti pulsioni negative, ma anche positive; inoltre è riuscito a mettere insieme due mostri sacri come De Niro e Dicaprio, facendolo confrontare e dialogare, in un altalenante lavaggio del cervello. Il male è normale, l’uomo bianco è superiore e tutto si può fare per denaro.

Una piccola considerazione, ho trovato Dicaprio un po’ imbolsito, De Niro sempre magnifico nell’alternarsi delle sue espressioni suadenti e mefistofeliche e la dolce Molly, da donna innamorata diventa paladina della sua gente, mi è piaciuto il suo riscatto.

Vabbhe! Ve l’ho detto… dure tre ore e mezza, ma ne vale la pena.


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