
A volte capitano letture che non ti aspetti, basta che qualcuno nomini un libro che arriva la voglia di leggerlo. È capitato con “La linea d’ombra” un racconto lungo datato 1917 che dormiva nella mia libreria dal 2002.
A quell’epoca Repubblica pubblicava libri da abbinare al giornale, classici della letteratura, io li compravo bulimicamente, poi spesso li mettevo sullo scaffale e mi dimenticavo di loro. Non mi ricordo infatti di averlo letto prima di questi ultimi giorni.
Quando è arrivato il suggerimento di lettura si è accesa una scintilla: «Questo libro ce l’ho, da qualche parte.» Sono andata a cercarlo e l’ho trovato alla lettera C. I miei libri sono classificati per nome autore così almeno li trovo subito!
Accanto a Collodi gli faceva compagnia “Cuore di tenebra”, altro libro da leggere, a questo punto.
Ogni volta che leggo un libro che appartiene alla categoria dei classici, dei grandi testi che hanno fatto la storia della letteratura mi prende, non so spiegarmi perché, una specie di orticaria, un fastidioso pregiudizio, il dubbio di non saperlo affrontare come si deve.
Già, come si affronta un classico, di cui sai già la trama, di cui sai praticamente tutto perché ne hai sentito parlare centinaia di volte, perché con il suo titolo ci hanno anche fatto una trasmissione radiofonica, perché sai già più o meno quello che ci troverai dentro.
Poi lo sfogli, apri alla prima pagina, e c’è l’attacco: «Soltanto i giovani hanno momenti del genere.» Questa è la traduzione che ho io di Celati del 1999. Oggi è uscita una nuova edizione con la traduzione di Simone Barillari,
Quali sono quei momenti del genere? Lo dice chiaro Conrad quando poco più avanti prosegue: «E anche il tempo va, fino a quando innanzi a noi si profila una linea d’ombra, ad avvertirci che bisogna dare addio anche al paese della gioventù. Questo è il periodo della vita in cui è più facile sopraggiungono i momenti che ho detto.»
Eccoli lì i momenti critici, visti come una linea d’ombra, mutevole come tutte le ombre, a volte la si vede e a volte no. A volte sta danti a noi, a volte ci si ci trova dentro, quasi inconsapevolmente. E nel momento che l’abbiamo passata, nel momento in cui è stato fatto il passo decisivo tutto cambia.
Anche io ho passato la mia linea d’ombra parecchio tempo fa, certo non su una nave ferma nella bonaccia dei mari del sud-est asiatico, non con la responsabilità del mio primo comando, ma pur sempre con le difficoltà che si incontrano nel passaggio dalla “beata giovinezza” alla “vita adulta”.
Il giovane protagonista, mai nominato col suo nome, è l’icona del giovane avventato e spavaldo. Nelle prime pagine del libro ne facciamo conoscenza e risulta anche un po’ antipatico, tipo quei giovani, anche attuali, “so tutto io”, infastiditi da tutto ciò che li circonda, un po supponenti, pronti a buttarsi nell’avventura anche a costo di bruciarsi le ali.
È quando arrivano le difficoltà, quando ci si trova soli davanti alla nostra linea d’ombra che bisogna tirare fuori le palle, anche inconsapevolmente, resistere per non morire, andare avanti, tenere ben saldo il timone, realmente e metaforicamente, poi sbarcare e toccare terra nel mondo adulto con una nuova consapevolezza, quella di essere divenuti diversi.
Ricordo bene quando ho attraversato la mia linea d’ombra, ieri ero una fanciulla sprovveduta e sognatrice e il giorno dopo determinata a vivere la mia vita senza se e senza ma.
Ecco, anche il giovane protagonista del romanzo quando mette il piede sulla terraferma non è più riconoscibile, consapevole che «Di riposo ce n’è ben poco nella vita, per tutti. Meglio non pensarci». Bisogna andare avanti a passo medio che mica si può correre sempre.
La vita va avanti, altre navi salpano, navigano nei mari e negli oceani, con nuovi equipaggi, nuove esperienze, nuove avventure, ma ora con la consapevolezza di poterle affrontare con la saggezza della maturità.
Mentre leggevo, mi sono profondamente identificata col protagonista del romanzo, mi sono trovata a lottare con lui, a rivivere il mio passaggio della linea d’ombra, a sentire la sua sofferenza, il suo sperare di farcela, il suo affrontare il tempo avverso, la malattia e la morte. Affrontare, non disperare mai, facendo affidamento su chi ci sta accanto, guardare a ciò che di buono possiamo afferrare, una cima che ci dia un appiglio, per non essere travolti.
Sì, quello che ho letto è un vero capolavoro, uno di quei testi che diventano archetipo della vita di ognuno, da lì si deve passare, come Pinocchio nella pancia della balena che diventa poi bambino.
Mi chiedo a questo punto: «Se l’avessi letto tanto tempo fa, l’avrei capito?» o avrei semplicemente visto la storia di una avventura marinaresca di un giovane del secolo scorso? Non so, forse aver passato anche io la mia linea d’ombra ha fatto si che leggessi anche ciò che forse non è scritto chiaramente, ma che sottintende la trama del romanzo.
Non rimane che leggerlo e poi dire la propria.