“Il ritorno di Casanova”: il film


Non si sbaglia mai quando ci si siede in sala e si guarda un film di Gabriele Salvatores, anche questa volta ha saputo dare un taglio originale e poetico a un argomento difficile come la vecchiaia; più che la vecchiaia la senescenza, il sentire che il tempo passa e che non si è più le persone di una volta.

Il film è liberamente tratto da un libro di Schnitzler che, mentre vedevo il film, mi sembrava di aver letto. Una reminiscenza lontana eppure presente. Chissà da dove arrivava.

Il soggetto del libro, il ritorno di Casanova a Venezia dopo il suo soggiorno in Francia, però si intreccia alle  vicende odierne di un regista in crisi che sta girando proprio un film tratto dal libro in questione.

Per distinguere le due temporalità Sorrentino ha fatto ricorso al bianco e nero per l’oggi e al colore per le parti storiche riferite al ‘700.

Un regista, interpretato da Toni Servillo, ha girato un film  tratto dal libro di Schnitzler, il film deve solo essere montato, ma Leo Berardi, è in crisi; durante le riprese ha conosciuto una giovane donna di cui si è innamorato ed emulando le gesta del suo personaggio l’ha concupita. Nel film anche Casanova, interpretato magistralmente da Fabrizio Bentivoglio, vuole concupire una giovane donna che però lo sdegna. Si gioca su questi due piani tutto il film. Il bianco e nero di oggi si intreccia con sovrapposizioni, che hanno dell’incredibile, al passato a colori. La vecchiaia dei due uomini è il cruccio di entrambi, il non voler accettare l’evidenza del passare del tempo.

La giovane del ‘700 presa con l’inganno porta Casanova a sfidarsi a duello con il giovane amante in una scena che ho trovato memorabile. I due uomini, nudi, che duellano in mezzo a un prato, e danno vita a un balletto che si conclude con la morte del giovane amante. Casanova ha “vinto”, ma gli rimane l’amarezza di aver dovuto sopprimere il giovane e lasciare la fanciulla senza il suo amore. 

Nell’oggi invece Leo, pur dovendo lasciare la vittoria al Festival di Venezia a un giovane regista rivale, riesce a proseguire la sua relazione con la giovane donna.

È un film difficile da spiegare e raccontare perché le due storie si intrecciano e si mescolano quasi che una influenzi l’altra, anche con sovrapposizioni di immagini che sfumano dal colore al bianco e nero senza soluzione di continuità.

Mi ha molto colpito anche il momento in cui, a colori, Sorrentino riproduce un quadro del Tiepolo che rappresenta “Il mondo nuovo”; un gruppo di persone prese di spalle che si affollano a vedere la “meraviglia” del momento. Una scatola di legno al cui interno si possono vedere riprodotte alcune scene, come se si fosse in un teatro. Le persone viste da dietro si scolorano e diventano il pubblico urlante del festival. Non so quanti abbiano colto questa analogia, se non si conosce l’affresco del Tiepolo.

Un film denso di rimandi letterari, anche ironico in alcuni punti in cui si prendono in giro le nuove tecnologie, la casa iperconnessa di Leo che si ribella ai comandi, il “balletto” dietro la vetrina di un bancomat a causa della porta scorrevole che non si apre, la cruente poesia della nascita di un vitello, l’amore struggente fatto sotto la doccia.

Ma anche nella parte colorata non mancano i momenti in cui la fotografia la fa da padrona creando dei veri e propri quadri viventi, dei personaggi caricaturali nella loro meschineria, sotto le parrucche incipriate. Vecchi inaciditi, preti segaligni, che fanno contrasto con la freschezza e la bellezza della giovane Marcolina.

Un film che mi piacerebbe rivedere per cogliere tutto quello che mi sono persa, perché sicuramente mi sono persa tantissimo.


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