
Premio Pulitzer meritatissimo quello assegnato al libro di Donna Tartt “Il cardellino”. Avvincente, tiene legato il lettore in ogni momento nonostante le sue quasi 900 pagine. È una storia che si snoda in un arco di tempo di circa 15 anni e segue la crescita dall’adolescenza alla maturità di Theo Decker, ragazzo rimasto orfano in modo traumatico subito all’inizio del romanzo.
Abituato a vivere in simbiosi con la madre dopo la sua morte, in un attentato nel Metropolitan Museum, cominciano le difficoltà che per un ragazzino timido e introverso sono sempre più grandi.
La voce narrante è quella di Theo stesso che racconta non solo gli avvenimenti, ma anche i suoi pensieri, le emozioni, le paure che dal momento in cui rimane solo lo assalgono.
Solo era prima, l’unico suo punto di riferimento era la madre, e solo rimane ancora di più in un mondo che apparentemente lo vuole proteggere, ma che invece lo mette al centro di avvenimenti più grandi di lui. Sradicato dal suo ambiente – una New York borghese – il padre, fuggito anni prima, lo porta nel nulla della periferia di Las Vegas con la nuova compagna e se ne disinteressa totalmente dal momento che è impegnato a scommettere e giocare nella patria del gioco d’azzardo. Lasciato a se stesso Theo trova un amico in Boris, suo coetaneo, ma molto più esperto di lui nel gioco della vita.
Theo e Boris, senza nessun controllo cominciano a bere e drogarsi. Può sembrare un gioco, un evadere dal vuoto in cui vivono, ma è un precipitare sempre di più nel baratro della dipendenza. Fino a quando anche la morte violenta del padre costringe Theo a fuggire per tornare a New York.
Trova rifugio presso un antiquario che lo accoglie come un figlio anche perché durante l’attentato Theo ha, quasi in trance, sottratto un quadro prezioso che gli è stato indicato da un vecchio morente che gli ha anche dato l’indirizzo al quale avrebbe potuto rivolgersi. Theo non confesserà mai di avere lui il quadro considerato perduto, un dipinto del ‘600 che raffigura un cardellino, ma lo stesso viene accolto dal socio del vecchio in virtù del fatto che è colui che ha raccolto le ultime parole del’amico.
Da lì, si susseguono anni in cui Theo cresce e diventa uomo, si innamora e ritrova Boris che nel frattempo è diventato un esperto della truffa e del raggiro.
Colpi di scena si susseguono uno dopo l’altro, il quadro è sempre al centro dei pensieri di Theo che a un certo punto vorrebbe trovare il modo di restituirlo al museo, ma non sa come fare.
Nel frattempo il ragazzo spaurito e indifeso diventa un abile venditore di mobili antichi, come era il socio dell’antiquario morto nell’attentato.
Non posso andare avanti nella storia perché potrei rivelare troppo, ma posso dire che il ritmo del racconto non cala mai e il lettore è sempre tenuto ben saldo nell’attenzione su quello che è l’evolversi della storia.
Scritto molto bene, con dialoghi serrati e descrizioni vivide, sia di quello che succede nel mondo di Theo, sia nel suo mondo interiore, Donna Tartt sa bene come far capire al lettore l’angoscia e i sensi di colpa che tengono il protagonista legato alle scelte anche sbagliate che si trova a fare.
Un romanzo che mischia amore, arte, droga, criminalità, amicizia e solidarietà tutto insieme, ma senza mai far prevaricare una cosa sull’alta.
Un ottimo romanzo, letto nella versione Kindle. Ho saputo che ne è stato anche tratto un film, ma non so se ho voglia di vederlo. Theo e le persone che lo circondano hanno ormai nella mia fantasia dei volti bene definiti e non vorrei sciupare tutto andando a vedere una trasposizione cinematografica.