I 107 anni di Giulia

Confesso che ero emozionata, non ho mai conosciuto una persona così avanti con l’età, i vegliardi sono figure di altri tempi in questa epoca di eterni giovani. Arrivo al secondo piano della palazzina dove abita Giulia con Daniela Ciampi, segretaria della Lega SPI di Sesto Fiorentino, stiamo per conoscere la più anziana iscritta, la persona che con la sua longevità si è conquistata la vetta dell’invidiabile classifica delle decane del Sindacato.
Saliamo le scale e siamo accolte da Sergio, il figlio, una stretta di mano e un “Benvenute” che mi fa capire subito quanto tenga a questo incontro.
Davanti a noi il figlio, la nuora e una giovane ragazza dal viso sorridente e curioso. Ci accomodiamo in un accogliente salottino, La nonnina è in un’altra stanza e quindi comincio a fare domande al figlio per sapere qualcosa di più sulla madre.
Generalmente si cerca sempre di non dire che una signora è vecchia, ma Giulia è proprio vecchia, 107 anni sono un traguardo che fa nobilitare la parola.
Arrivare a diventare vecchi come è riuscita lei è un merito che pochissimi riescono a conquistare. Quando è arrivata da noi, mi sono trovata davanti ad una persona straordinaria. Il suo viso era luminoso, leggermente sporto in avanti quasi a cercare di capire che cosa stava succedendo, un corpo minuto, la pelle trasparente ma liscia, le mani forti che ha stretto attorno alla mia. Vestita di una semplice vestaglietta a disegni minuti portava legato in vita il grembiule, simbolo della donna di casa di altri tempi. Ci dicono che lo indossa sempre, come sempre lo ha indossato in passato perché fa parte di lei fin da quando era piccola.
Giulia da tanti anni non ci vede, però sul naso fanno bella mostra di sé dei grandi occhiali, ma si è sempre interessata a quello che le succede intorno, è anche un po’ sorda, il che non le ha impedito di rispondere a tono alle domande che le ho fatto.
Le chiedo se è nata a Sesto Fiorentino e lei mi racconta che è nata in Mugello, a San Piero a Sieve da una famiglia di contadini. Non è andata a scuola se non per un breve periodo, la sua infanzia è trascorsa nell’accudimento degli animali e nei racconti della mamma che le diceva che c’era la guerra – la prima – e che tanti uomini partivano per non ritornare. Giulia aveva 11 anni alla fine del primo conflitto mondiale essendo nata nel 1907, non è stata toccata, se non marginalmente dal primo grande massacro, sa solo dire che gli uomini partivano e non ritornavano.
Anche il padre del suo futuro marito, forse, ha subito la stessa sorte perché quando i due fidanzati, Giulia e Adolfo decidono di sposarsi non lo possono fare ufficialmente in municipio perché lui è ancora minorenne, orfano di padre scomparso. Si sposano lo stesso con rito religioso e poi dopo sei mesi, al raggiungimento della maggiore età di lui possono regolarizzare il loro stato civile di marito e moglie. Giulia ha conosciuto Adolfo a una festa di Carnevale, lui deve essere stato un bel ragazzo, alto e dal fisico prestante. Ha fatto il servizio militare nei corazzieri, una ferma lunga, che li costringe a un fidanzamento di tre anni.
Finalmente marito e moglie, Giulia e Adolfo si trasferiscono a Sesto Fiorentino. Lui entra come operaio alla Fabbrica Ginori, la vecchia fabbrica a Doccia, lavora ai forni, immagino un lavoro duro e faticoso. Vanno ad abitare a Colonnata, frazione Chiuino, una frazione della frazione. Giulia sta a casa, nascono due figli, Luciano e Sergio, e il tempo passa.
Siamo in pieno periodo fascista, Il figlio più piccolo ha appena 2 anni quando la giovane sposa nel ’35 deve consegnare la sua fede alla Patria. “L’ho dovuta dare a Mussolini” dice. Viene sostituita da un anello in argento che porta ancora al dito. Ma, accanto a quella, al dito, Giulia porta anche una fede d’oro, le chiedo come mai e lei mi dice che le è stata regalata durante il matrimonio del figlio più grande ed è stata benedetta durante le nozze del medesimo. Ora Giulia ha di nuovo la sua fede, ma non si separa, e non si separerà mai, anche di quella che le ricorda il grande sacrificio fatto.
La guerra – la seconda per il mondo e per Giulia – è dura. La famiglia deve sopportare molti sacrifici, manca il pane, manca il minimo necessario per il sostentamento. Adolfo deve fare pericolosi viaggi in bicicletta dai parenti rimasti nel Mugello per trovare il minimo necessario per sfamare lei e figli.
Poche parole sono dette: “Il pane andava ai figli, io mangiavo erbe bollite”.
Passata la guerra comincia un relativo benessere fino alla chiusura della Fabbrica Ginori di Doccia e il suo trasferimento al nuovo stabilimento. Molti vengono licenziati, e cominciano le lotte e gli scioperi.
Giulia non lavora, ma condivide le azioni di lotta; va a piedi da Sesto a Firenze con le donne e i bambini, subisce la carica della Celere e si salva rifugiandosi in una chiesa. Partecipa insieme alle altre donne, e anche si diverte, trovando nella solidarietà femminile delle operaie e delle mogli degli operai un mondo e delle idee da condividere. Anche adesso al pensiero si mette a ridere.
Il figlio Luciano, anche lui operaio della Ginori è tra quelli che vanno nel 1954 a Milano in bicicletta per protestare davanti alla sede dell’azienda. Ciò nonostante, malgrado i sacrifici, la famiglia riesce a costruirsi una casa. Adolfo lavora con i muratori per fabbricarla. Casa fatta con le proprie mani, ancora più preziosa.
Gli anni passano, Giulia, come tutte le persone molto anziane ricorda più gli avvenimenti molto lontani che quelli più recenti, inesorabilmente gli anni passano, sempre più primavere si accumulano sulle sue spalle, la vista va via, il marito continua a leggerle il giornale, perché le piace tenersi informata. Prima glielo leggeva perché non lo sapeva leggere, adesso per tenerla aggiornata sul mondo. È solo di qualche anno fa la domanda: “La Borsa come va?”.
Circa 25 anni fa Adolfo la lascia, continua ad abitare con uno dei figli e la nuora, ma col passare degli anni è sempre meno autosufficiente, anche se oggi ancora cammina, seppur sorretta, e riesce a soddisfare le sue necessità.
107 anni sono tanti, sono un carico di esperienza talmente grande che riesce difficile anche immaginarlo.
Il viso tranquillo di Giulia, malgrado gli occhi spenti e l’udito debole ci dice che è una donna serena, una donna che nel silenzio in cui l’ha costretta la sordità vive il suo mondo di ricordi. Il buio che le impedisce di vedere il presente, non può sottrarle il passato e le immagini di una vita ricca di affetti.
Accanto a lei, oltre alla nuora e al figlio, anche lui della ragguardevole età di 81 anni, da pochi mesi è arrivata una giovane infermiera, una ragazza che ha saputo entrarle nel cuore. Laura le parla nell’orecchio, i due visi, quello fresco e giovane della ragazza e quello rugoso della vecchia sono accostati e la voce che passa dall’una all’altra è come un filo che supera ogni barriera, è come se davvero l’esperienza e la saggezza dell’una passassero il testimone alle nuove generazioni. La voce tremante non è un ostacolo quando si trova l’ascolto accogliente.
Anche io ho ascoltato facendo tesoro di ogni parola e quando con Daniela abbiamo lasciato la casa di Giulia dopo averle stretto di nuovo le mani abbiamo sentito un contatto che ci trasmetteva la forza di una donna speciale.
Auguri Giulia, cento di questi giorni.


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