Giallo e blù


Fantasia – 6 luglio 1944

Oggi è una giornata di prigionia come tutte le altre, però oggi sono accadute due cose: primo, ho pensato ai colori “giallo e blu”; secondo, di scrivere cosa penso su quei due colori. E’ così.

Un uomo qualsiasi, che non sia nel mio stato, cioè prigioniero di guerra, leggendo questo preambolo cosa direbbe? “Questo è un pazzo!” Infatti la mia vita di ora, la vita di tutti quelli che ora mi circondano è formata, è sostenuta, è spronata da tante piccole e ingenue pazzie, ma nessuno è pazzo. Le idee più strane, i pensieri più vani, i ragionamenti e le discussioni più sconclusionate si fanno solamente qui, nel campo di concentramento e nelle condizioni in cui siamo. Forse chissà, anche nella vita, mi riferisco a quella fuori dei reticolati, si dicono e si pensano cose strane, ma, o non ci si fa caso, o veramente chi fa o dice quelle cose, è un pazzo.

Oggi ho pensato al “giallo e blu”, che c’è di male?

Ero ritornato da mensa; dovete saper che si mangia bene in questo periodo: carne di maiale, quasi tutti i giorni, pasta asciutta ogni due giorni e caffè e frutta e gelato e dolci e carne di maiale e pasta asciutta… già, l’avevo detto; pensate che la pancetta serve per accendere il fuoco; il fiore di farina a segnare i campi sportivi e a fare la colla per rilegare i libri; queste si che sono pazzie! E pensare che a casa mia soffrono la fame, e senza “forse”; ma qui, agli occhi di tutti, questa è normalità.

Ero ritornato da mensa, quindi avevo mangiato bene; un romanzetto mi attendeva per la lettura delle ultime pagine, naturalmente ho divorato il finale del libro, finale doloroso, forse mi avrebbe strappato una lacrima se non avessi pensato alla ben più dura realtà.

Il letto che mi hanno dato è soffice e su di esso in posizione orizzontale si sta bene; mi sono addormentato. Anzi, in un primo tempo ho creduto di dormire, poi ho capito che non dormivo, solamente non pensavo, pensando mi accorsi di non dormire; ero in un dormiveglia strano e, come in sogno, mille immagini passavano nella mia mente; qualche personaggio del mio romanzo mi passava innanzi agli occhi, cioè, volevo dire: “qualche personaggio del romanzo che avevo letto prima, passava dinanzi ai miei occhi”; perché io non ho mai scritto romanzi. E la mia mente correva sconclusionata, correva, facevo apprezzamenti su quei personaggi e trovavo in essi anche qualcosa di vero, di umano. Sarei capace io di scrivere un romanzo, mi chiedevo? no; come si fa? no, nemmeno novelle, mi manca la fantasia; fantasia? Colori? Bianco e Nero? no; “Rouge et noir”? già, il “Rosso e nero” è un romanzo di Stendhal che ho letto tempo fa, no; giallo e Blu? benissimo, si, si, “Giallo e Blu”, ma io cosa ho da dire su quei due colori?

Quante cose!

Ero ragazzo, cominciavo allora ad affrontare le prime competizioni sportive; trovai non so dove, una vecchia maglia a striscie verticali gialle e blu; era con le maniche lunghe, la feci trasformare in canottiera, divenne la mia maglia di gara, la maglia della competizione, quando ancora aleggiava in me l’aspirazione alla gloria, alla fama; alla “fame” mi risponderebbe Redaelli, se ancora fosse qui, come sulla scena e quando si faceva “Brumista e Gustavino”. Ma era così, quella maglia era il mio simbolo, io dovevo essere riconosciuto per mezzo di quella maglia, erano i colori della mia città e quindi trionfando “Giallo e Blu” avrebbe trionfata la mia città.

Ricordo così bene quel giorno lontano, quando dagli spalti della tribuna a Torino, dopo un mio salto stupendo, che quasi mi rendeva campione d’Italia, si alzò un urlo di gioia, un applauso scrosciante, a me che portavo quei due colori: “Giallo e Blu”; e le urla si levarono alte, inneggiando non a me, nome sconosciuto, ma alla mia Modena lontana.

Oggi quando vedrò Salvarani, gli chiederò a bruciapelo: “Ti piacciono i colori giallo e blu?” momento di perplessità e poi certamente mi risponderà: ” Zsal e Blù? sens’altro, i èn… sono i colori di Modena.”

Già, i colori di Modena, della mia casa lontana, il simbolo della mia vita, di tutto ciò a cui anelo da tempo, due colori magici, potrei dire. Pensando ad essi, penso al passato, a quella vita che forse rivivrò un giorno, perché non può durare così. Penso alla mia casa, in essa mia mamma, mi fratello, la mia Adriana, e come vorrei sognarla, toccarla… ma non si può.

Come, in che modo, si può analizzare tutto ciò che passa nella mia mente quando penso; quando sono nel mio letto e non dormo; quando cerco di dormire per non pensare?

Infatti oggi pensavo al “giallo e blu”, ma non era mai solo quel pensiero, era accavallato ad altri, in immagini confuse.

Ho comprato una penna, di quelle che si intingono nel calamaio, è una “cannetta” di legno dipinto, col pennino attaccato. E’ la penna che adopero qui, su questo tavolo costruito con le mie mani, la penna che uso a scrivere queste cose, la penna che uso per scrivere le lettere a casa, quando ne ho voglia, perché non ricevo più posta. Anche lei, la penna, è “Gialla e Blu”. Ce n’erano di altri colori allo spaccio, ma io ho voluto quella, tre “cents”, una miseria, eppure mi fa compagnia e poi è “Gialla e Blu”.