Anche oggi ho fatto le mie cinque telefonate con le persone che mi stanno a cuore ma stanno lontane. Torino, Roma, Anghiari… si anche Anghiari perché le ferite ora si sono rimarginate e le persone che ho chiamato non hanno colpe, se di colpe si poteva parlare… Sono amiche che sono state troppo a lungo silenziose. Poi le altre, di cui ho sentito la voce, finalmente! Domani non potrò farlo perché mi aspetta Mister Kemio, e poi di nuovo il signor Radio. Non so come tornerò a casa, in macchina naturalmente, ma poi? Domani un mio gruppo di studio farà una riunione via Skype, ma credo non ci parteciperò, sarò lì con loro con il pensiero, di più non credo possa essere possibile.
Ho condiviso su FB un post di Abdou M. Diouf. È la persona più ottimista che conosca, riesce a trasformare ogni avvenimento in una crescita. Ha scritto un libro che si intitola “È sempre estate” e cosa c’è di più bello dell’estate?
La presentazione del suo libro recita:
“Scoprii qual era la vera causa della mia malinconia, quando un giorno, Modou, con una certa freddezza, mi apostrofò: “Non fare domande: vivi!” E io di domande, purtroppo, me ne facevo sempre troppe. Soprattutto quando mi succedeva qualcosa di bello. Come se io non mi meritassi le cose belle. Come se io non mi meritassi di essere felice. Come se la mia felicità avesse bisogno di una spiegazione. Ogni volta. Domande a cui, poi, non sapevo mai dare una risposta. Forse è questo il segreto della felicità: smettere di farsi domande e viverla…”
Il segreto è vedere le cose belle che ci capitano e non farsi domande, anche io spesso mi domandavo: “Ma perché proprio a me? Perché quella persona è così gentile con me, perché mi stima? Io non me lo merito… ” Me lo domandavo ogni volta che si iscriveva a un mio laboratorio qualcuno che doveva fare molta strada e mi diceva: sì voglio proprio venire da te, oppure quando mi chiamavano da lontano ed io mi chiedevo perché io? Quando ricevevo telefonate da persone che avevano voglia di parlare con me e non perché io dessi loro qualcosa…ma per il piacere di una conversazione.
Ora non mi domando più perché, accolgo. Prendo ciò che ciascuno può dare, non pretendo, mi accontento non faccio di una necessità un bisogno impellente. Prendo ciò che ciascuno può dare e dò quello che posso donare, forse è poco, ma più di così è fuori dalle mie forze e così mi metto anche nei panni di chi mi sta vicino -o lontano- e mi dona un po’ di solidarietà, di affetto, di comprensione.
Ascolto le voci di chi mi parla al telefono -tutte diverse, tutte con la loro vita- che per un momento si intrecciano alla mia e formano un filo che piano piano si ingrossa e diventa sempre più robusto. Se anche un filo si spezza -e può succedere- ci sono gli altri che reggono e mi legano, e mi sostengono. Perché quella rete che fino a poco tempo fa veniva demonizzata ora è diventata un’amaca in cui cullarsi. un bozzolo in cui rifugiarsi come le meravigliose sculture viventi di Tomàs Saraceno, leggere come l’aria, ma tanto robuste da resistere alle tempeste.
Il libro di Abdou va oltre quello che ho comperato ieri, quello diceva della felicità “facci caso” questo dice “vivila”.
Mi sono fatta un dolce, ho trasformato il cioccolato dell’uovo di Pasqua nel dolce più buono che esista, quello della mia infanzia, quello che portava in tavola ogni Natale la nonna che faceva nascere i bambini. Oggi non è Natale ma non importa, domani proverò a mangiare una fetta di Dolce Salamino fatta da me. Magari riuscirò a mandarne già qualche pezzetto… chissà. E se non ci riuscirò la metterò in freezer e lo conserverò per quando potrò gustarmelo. Ne farò tanti piccoli salami, mono porzioni da utilizzare un po’ alla volta quando sarà il momento. E allora sarò felice solo al pensiero di avere i meravigliosi dolcetti che si scioglieranno nella mia bocca senza dolore.
Basta avere pazienza e aspettare.