Eric Schmitt: “Diario di un amore perduto”


Ed eccomi qui a parlare dell’ultimo libro di luglio, che ha sforato agosto…

Ho letto il libro di Schmitt a rate, era stato scelto dal gruppo di lettura di cui faccio parte, addirittura suggerito pensando a me che mi occupo di autobiografia, perché si tratta di un libro dichiaratamente, sfacciatamente autobiografico.

Non so perché non mi andava di comperarlo, nemmeno come ebook, un presentimento, forse e allora l’ho richiesto in biblioteca. Mai scelta fu più giusta.

Mi sono irrigidita alla lettura delle prime due righe dell’incipit: “Mamma è morta stamattina. È la prima volta che mi fa soffrire”.

Ma come? Tua madre muore e tu l’accusi di farti soffrire, avrà ben più sofferto lei, che non c’è più!. Si, mi hanno dato fastidio queste parole, tanto fastidio, credo abbiano condizionato tutta la lettura del libro.

Mi sono fermata dopo 32 pagine, non ne potevo più… quello di chi scriveva non era dolore era un atto d’accusa, era uno sfogo narcisistico di una persona in pieno complesso di Edipo. Un complesso di Edipo di un figlio di più di 60 anni verso la madre. Un figlio mai cresciuto, nonostante i successi, la fama, la notorietà.

Insomma mi sono fermata a pag. 32! Ho passato il libro a un amico che l’ha letto e che ne ha fatto una recensione positiva e allora mi sono chiesta se ero io che non capivo. Probabile, i fondo Schmitt è uno scrittore di vaglia, drammaturgo, attore, regista, insignito di  onorificenze prestigiose, e chi sono io, se non una modesta lettrice, illetterata?

Allora quando il libro mi è stato restituito ho provato ad andare avanti. Ho forzato la mia indignazione e sono arrivata alla fine, alla faccia di tutte le raccomandazioni di Pennac che da la facoltà di lasciare un libro se non lo si digerisce.

La mia opinione non è cambiata. Anche quando l’attenzione viene spostata sul padre detestato perché diverso da lui, ma io dico detestato perché è l’amore della madre, Edipo docet, non riesco a farmene una ragione. In questo libro ci vedo un susseguirsi di stereotipi, farciti da citazioni, anche carine, una successione di alti e bassi, nostalgie ed esaltazioni, affermazioni su “come era bella la mia mamma, come era brava la mia mamma!” E mi fermo qui perché davvero non riesco ad andare avanti.

Anche la conclusione è il ritratto di tutto il libro. Con l’eredità cospicua che la madre gli ha lasciato che cosa compera il nostro figlio mai cresciuto? Un pianoforte, così potrà sfiorarne in modo sensuale i tasti e sentire la madre sotto le sue dita. “Mamma è qui, sotto le mie dita. La tocco, lei risponde.” Patetico!

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