Dieci anni di Scritture

Questo brano è stato pubblicato nel volume collettaneo Dieci anni di scritture a cura di Anna Maria Pedretti pubblicato in occasione dei 10 anni della Libera Università dell’autobiografia di Anghiari nel 2009.

  1. La scrittura
  2. Tornando indietro, da oggi ad allora.
  3. L’inizio
  4. La pensione
  5. L’inaspettato
La scrittura

Che cos’è la scrittura se non parlare con se stessi nel preciso momento in cui le lettere prendono forma sotto le dita dei tasti del computer?
Scrivo. Ora scrivo molto. Ora? Anche prima lo facevo, ma la consapevolezza di quello che scrivo, anche adesso che le lettere si mettono in fila sullo schermo, è nata dieci anni fa quando ho Dovuto/Voluto scrivere la mia autobiografia.

La mia storia…
È una storia comune, come è comune la storia di ciascuna persona che mi sta intorno.
È una storia particolare, come è particolare la storia di ciascuna persona che mi sta intorno.
È una storia fantastica, come è fantastica la storia di ciascuna persona che mi sta intorno.
È una storia travagliata, come è travagliata la storia di ciascuna persona che mi sta intorno.
È una storia di crescita, così come cresce ciascuna persona che mi sta intorno.
È una storia…

Sì è una storia che ho messo sulla carta e sul web perché la mia storia è di tutti, e di questo sono profondamente convinta.
È di chi mi conosce perché la sua storia è intrecciata con la mia con infiniti nodi che a volte ho stretto e a volte invece ho voluto e potuto sciogliere
È di chi non mi conosce perché attraverso la lettura possa conoscermi un po’ e trovare tra le righe esperienze che pur non uguali possano esser simili; e rispecchiarsi, trovando un altro sé nel riflesso di una vita.
È mia perché l’ho vissuta dentro e fuori: dentro il mio corpo, la mia mente, le mie emozioni; fuori nelle relazioni con chi mi ha toccato, sfiorato, passato vicino.

Ebbene sì, tutto questo è potuto avvenire con la scrittura, potente, straordinario strumento che ha messo in contatto e ha risistemato ogni tessera di quel meraviglioso puzzle che è la mia vita.

Tornando indietro, da oggi ad allora.

Ho chiuso la mia autobiografia, consegnata ormai quasi 10 anni fa, con una dichiarazione di ottimismo, è vero, confermo, mi sento sempre di più ottimista, credo sempre di più che la mia vita abbia preso una strada di pace e serenità. Forse anche di felicità se riuscirò a capire che cosa significa.
Quando incontro amici o conoscenti che mi chiedono come va, mi viene spontaneo dire che va bene, che sono soddisfatta di me stessa, di quello che ho e di quello che sono diventata. Nel 2009 compirò 62 anni, e non me li sento, devo fare ogni volta uno sforzo per conteggiare gli anni che mi separano da quel lontano giorno della mia nascita che ho raccontato nella prima parte della mia autobiografia.
Molte persone non ci sono più, mia madre, mio padre, le mie nonne, zia Lilli, zio Gino, se ne sono andati da tempo lasciando un vuoto che però è stato colmato dal loro ricordo, dalla loro presenza rilevata dai miei gesti, dai miei atteggiamenti che derivano per ereditarietà da loro.
Altre persone però sono entrate a far parte della mia vita, mio figlio è diventato un uomo, con una sua famiglia, mia sorella è diventata una donna appagata e serena, la mia famiglia si è allargata accogliendo al suo interno le persone che sono venute in contatto con me, per amore, per affetto o per amicizia.
Oggi vivo sola nel solito appartamento testimone di tanti avvenimenti dolorosi che col tempo è però diventato il mio rifugio. L’ho fatto mio, tutto riflette la mia vita e la mia personalità, le mie manie e le mie abitudini. Le pareti piene di libri e di quadri, oggetti sparsi dappertutto, ricettacoli di polvere, ma anche fonti di ricordi che non mi so decidere a buttar via. La mia vita negli oggetti e negli angoli della mia casa, ma non solo, oggetti di mio padre, di mia madre, della zia e dalla nonna, divenuti preziosi perché donati da loro stessi o rimasti a me dopo la loro morte.
Cosa faccio? Credo che la definizione migliore di quello che faccio è dire che mi diverto, faccio finalmente quello che mi piace, in estrema libertà e autonomia.
Voglio leggere? Ho un libro che mi appassiona e che non voglio lasciare? Bene, leggo, nessuno mi corre dietro con doveri da rispettare, tempi da osservare. Posso rimanermene tutto il tempo che voglio sdraiata sul letto a leggere.
Voglio navigare in internet, fare ricerche, scrivere sul mio amatissimo computer? Chi me lo impedisce? Seduta alla mia scrivania, scrivo, navigo, cerco, leggo pagine, intrattengo corrispondenze con amici di là dallo schermo, costruisco pagine web soddisfacendo il mio bisogno di creare qualche cosa di armonico e gradevole.
Questi sono solo due esempi ma potrei continuare, con l’incontrare le amiche, cucinare (altra cosa che mi piace moltissimo), andare a fare qualche gita.
Sono libera, credo che questa sia la parola chiave della mia vita: libertà. Conquistata, a poco a poco, spesso con grande sofferenza ma proprio per questo più apprezzata e vissuta.

L’inizio

Posso mettere una data di inizio a questa mia stagione aurea, 1 settembre 1998, data che fa da spartiacque fra il mio periodo lavorativo e il periodo della pensione.
Avevo cominciato già da tempo a pensarci, la scuola, all’inizio mia grande passione, non mi dava più stimoli, non mi soddisfaceva più. Andare al lavoro era diventata una sofferenza continua, ogni giorno mi scoprivo nuovi mali immaginari per trovare scuse e starmene a casa. La scuola mi stava stretta, se avessi potuto cambiare, fare qualcosa d’altro, esprimere di più i nuovi interessi che mi premevano dentro, forse sarei rimasta, invece ogni giorno era uguale all’altro, la tuta indossata come una divisa, la palestra, la confusione dei ragazzi, le stesse cose ripetute giorno dopo giorno.
Le riunioni sempre uguali, con gli stessi problemi dibattuti anno dopo anno, l’ottusità di certi presidi, l’invidia e la maldicenza di certi colleghi, non li sopportavo proprio più. Avevo messo domanda di pensionamento, non contandoci troppo, e invece il 5 di agosto una comunicazione della segreteria mi annunciava che non avrei dovuto iniziare il nuovo anno scolastico.
Ricordo che sono partita, mentre tutti ricominciavano con il solito tran, tran me ne sono andata al mare. Mare di settembre, non avevo mai avuto la gioia di goderne. Puglia, mare azzurro, a casa del padre di mio marito, ho trascorso un periodo sprofondata nel nulla. Mattina al mare, sdraiata su una roccia, le parole crociate come unico lavoro per la mente, il bagno nell’acqua ancora calda poi a casa, pranzo, riposino, quattro chiacchiere, una passeggiata… Che cosa potevo volere di più?
Sono tornata a casa dopo un mese completamente rilassata e felice, abbronzata quando tutti avevano già perduto la tintarella pronta a godere della nuova libertà che mi era così fortunosamente piovuta sulla testa.

La pensione

Due mesi, due mesi che ho trascorso, dopo il mio ritorno, con la testa fra le nuvole, incredula di avere tempo a disposizione, di svegliarmi la mattina, guardare la sveglia e rigirarmi dall’altra parte. Vivevo come in un sogno, in un dormiveglia, non del tutto cosciente di quello che stavo vivendo, dopo anni di scuola, davanti e dietro la cattedra.
Tutto questo naturalmente non poteva durare, la vita mi ha ripreso bruscamente un pomeriggio di un venerdì di dicembre.
Ero appena tornata a casa da una visita a Modena, potevo permettermi il lusso di andare di giorno feriale a trovare mio padre, di passare due giorni con lui e poi tornare a casa quando i treni non erano affollati, con tutta comodità.
Con mio padre negli ultimi tempi non c’era stato un gran feeling, si era rifatto una vita con una compagna che a noi figlie non piaceva, una donna arrogante e presuntuosa. Noi figlie capivamo le esigenze di nostro padre, un uomo attivo e con molteplici interessi che aveva bisogno di avere qualcuno vicino per non sentirsi solo, per condividere il cinema e il teatro, per uscire la sera. Noi eravamo lontane, io a Firenze e mia sorella in montagna, avevamo una nostra vita lontana che non potevamo condividere in pieno con lui.
Quella donna era quello che ci voleva per lui, piena di vitalità, con tanta voglia di vivere e approfittare di tutto quello che le poteva offrire mio padre. Mi ero accorta che lo succhiava letteralmente, era instancabile, voleva sempre di più, la vacanza, la cena, la serata a ballare, al cinema o a teatro.
Io avevo cercato di metterlo in guardia, ma lui non mi ascoltava, anche se capiva che la famiglia tutta, non solo noi, disapprovava quella relazione, non sapeva o non voleva troncare.
Lei non piaceva a nessuno di noi, troppo appariscente, troppo esuberante, troppo volgare nei suoi colori senza gusto, troppo loquace, sempre piena di sé. Mai ammetteva di aver potuto sbagliare, senza autocritica, logorroica addirittura.
Io avevo naturalmente litigato quasi subito con lei, non la potevo sopportare, così diversa da mia madre, non capivo cosa mio padre avesse trovato in una donna di siffatta maniera. I nostri rapporti erano assolutamente superficiali, la frequentavo se proprio non ne potevo fare a meno.
Negli ultimi tempi poi papà non era stato bene, a settembre aveva compiuto 81 anni e l’età cominciava a farsi sentire, malgrado la sua vitalità che non voleva sottomettersi agli acciacchi. Avevamo festeggiato il suo compleanno noi tre: lui e noi due figlie andando fuori a pranzo. Ricordo bene la sua soddisfazione di averci insieme a tavola e il gusto con cui assaporava la zuppa di pesce di cui era ghiotto. Papà era un buongustaio, la tavola era uno dei piaceri che non si faceva mancare, spesso quando noi lo rimproveravamo e lo esortavamo a non esagerare diceva che era meglio vivere un anno in meno ma come voleva lui, godendo in pieno la vita.

L’inaspettato

Ero tornata da Modena a Firenze solo da due giorni quando ricevetti la telefonata di mia sorella che mi annunciava che papà era morto.
Non mi ricordo molto di quel momento, ho la straordinaria capacità di dimenticare i momenti cruciali della mia vita. Ho solo una vaga sensazione di incredulità con mia sorella che singhiozzava al telefono.
Sono partita immediatamente, ho rifatto in auto quella strada che avevo percorso tante volte senza neppure vederla, non volevo pensare a quello che mi stava aspettando, avevo solo la sensazione che stava avvenendo, o era avvenuto qualcosa che avrebbe cambiato tutto, non solo la mia vita, ma anche quella delle persone che mi erano care e che a quel punto si restringevano a una cerchia sempre più piccola.
Pensavo a mia sorella, allo zio, a Giuliano che avevo lasciato a casa, e mi rendevo conto che stavo diventando il punto di riferimento della famiglia, ero diventata la più vecchia, non c’era più nessuno prima di me e che da quel momento ero investita di una tremenda responsabilità.
Mio padre era morto, non riuscivo a piangere, io che ho sempre le lacrime facili, anzi, non mi veniva proprio da piangere. Dopo la mia esperienza, ho imparato ad accettare la morte come parte della vita, sapevo che prima o poi le persone care, e io stessa, se ne sarebbero andate, vedevo con freddezza questo avvenimento, quasi me lo aspettavo e quindi lo accettavo come parte ineluttabile. Sono sembrata fredda, insensibile, egoista a tratti in questo avvenimento che normalmente scombussola, travolge e rende incoscienti.
Tutto questo non aveva niente a che fare con il grande amore che avevo provato per mio padre, a quel punto questo aveva smesso di essere il presente e acquistava il sapore del passato. Lui non c’era più, noi eravamo ancora qui a tirare avanti, il suo ricordo sarebbe sempre stato vivo e presente ma la vita doveva continuare,
Appena arrivata a Modena tutta la realtà di quel momento si è fatta avanti prepotentemente. Ringrazio quelle due ore di macchina che mi hanno dato modo di metabolizzare il colpo iniziale e che in solitudine mi hanno dato modo di riflettere su quello che era successo.
Era il 4 dicembre del 1998.


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