Diario di guerra


  1. La guerra: parte prima
  2. La guerra: parte seconda
  3. La guerra: parte terza
  4. 7 Aprile 1943: la cattura

La guerra: parte prima

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È il 25 aprile 1943, giorno di Pasqua, a bordo della nave americana “Brazil” che mi sovviene di iniziare questo racconto … sono prigioniero ormai e questo lavoro mi servirà a ingannare qualche ora malinconica.

Partiti per la guerra il 3 marzo 1943. Ero a Empoli col mio battaglione del 36° Bis Fanteria Motorizzato quando dopo parecchi falsi allarmi finalmente partiti. Si indovinava la destinazione: Tunisia. Monto in tradotta la sera. Avevo salutato il giorno prima la mamma e la fidanzata. Il treno si mosse alle 20.30. Saluti e addii
Il 4 marzo passiamo per Napoli, il 5 marzo arriviamo a Villa S. Giovanni dove lasciamo la tradotta per passare sul traghetto per Messina. Notte fredda e ventosa. A Messina dove sono visibili i segni di bombardamenti e nell’oscurità più completa, era notte fonda, caricamento su nuova tradotta, dove fino al mattino dormo in un carro (?) coi miei soldati.
6 marzo, si passa da Palermo e finalmente il 7 marzo alle 10 si arriva a Castelvetrano, dove ci accampiamo in attesa del trasporto aereo. Visita serale a Castelvetrano, mensa in una bettola, la notte la passo in tenda coi miei fanti, Maini, Dondi, Bernardi, Prampolini ecc. Alle 3 dell’8 marzo sveglia. Si toglie il campo, buio pesto, si carica il materiale, arrivano degli autobus, montiamo tutti. Si va al campo d’aviazione, intanto si fa giorno. Caricamento sugli aerei, è la prima volta che monto su un apparecchio. E’ un grosso trimotore da trasporto. Minuziosi e precisi preparativi degli aviatori, si parte, sono le 7, prima emozione del volo, si gira sul campo, si forma il convoglio, si punta sul mare, il viaggio è calmo, senza incidenti, interessantissimo.
Verso le 10 ecco la costa dell’Africa, capo Bon, Tunisi. Si scende dolcemente sul campo. Veloce scaricamento, montiamo su dei camion. La colonna passa per la città e ci fermiamo al Comando Tappa. Breve sosta, primi contatti con gli arabi del luogo, untuosi e premurosi, riposo sotto la tenda, si mangia e la sera nuova partenza degli autocarri. Il viaggio è lungo ed estenuante, si viaggia tutta la notte e il giorno dopo arriviamo a Sfax. Breve sosta in città, dove noi ufficiali siamo ospiti alla mensa del comando tappa. Subito si riparte. A sera siamo già in zona pericolosa, si deve procedere a fari spenti, ma le piste sono mal messe ed allora fermata in una bellissima oasi di palme poco distante da Gabes. Le linee oramai non sono più tanto lontane, si dorme all’addiaccio e a notte esce la luna tra le palme. Il giorno dopo all’alba (10 marzo) si riparte e in mattinata arriviamo all’oasi di Hel Hamma dove ci accampiamo. L’oasi sembra un paradiso, la mia tenda è posta all’ombra di un fascio di palme e alla sinistra scorre un ruscelletto di acqua calda (Hel Hamma vuol dire Acqua-calda). Qui vita di campo, si costituisce la mensa, si scavano buche per eventuali incursioni aeree e per alcuni giorni trascorre comodamente e tranquillamente questa vita da campo.
Il 13 marzo, costituendosi il Btg. Su nuovo organico, passo dalla 4° alla 2° compagnia. Pochi uomini del mio plotone mi seguono, e con grande dolore, proprio ora che dovevo portarlo al fuoco vedo sciogliersi quel plotone che io avevo istruito. Mi rimangono però alcuni che scelgo fra i più fedeli, Dondi, Bernardi, Pizzuto, Macaluso, poi riesco a ottenere il Serg. Maini, Prampolini, Billi e Artioli. Anche il mio attendente “Pippone”, mi segue. Nella nuova compagnia ricostituisco il plotone. Nuovi elementi aggiungo ai miei fra i quali il Serg. Vaccari, il Serg. Ascari, e Papi un mio vecchio soldato dell’8°, un vecchio fedelissimo insomma. In Hel Hamma rimanemmo fino al 15 marzo, giorno in cui a mezzo autocarri veniamo trasportati in linea. Località: Sidi Amara, prime pendici della catena del Telaga a sud dello Sciot. Nuovo genere di vita, si dorme in quadrate buche, con uscite che danno in tortuosi camminamenti. Il tetto è formato da 4 teli da tenda tirati a fior di terra. Subito ha inizio la sistemazione della linea in capisaldi. Nel mio caposaldo ho due mitra, due fucili mitragliatori, un pezzo da 47/32. Si fa la mensa di campagna, cucina ecc… Una compagnia che prima era in quelle posizioni ci dice essere la località molto quieta. Infatti la sistemazione prosegue celermente, mentre davanti a noi si estende un deserto collinoso, terra di nessuno.
Nell’immediato davanti del fronte della nostra compagnia si stendono dei reticolati e c’è un campo minato. La mia linea è a fianco di quella del Capitano Barbieri, e con lui passo la maggior parte della giornata. Miei colleghi in compagnia sono Colombini, Jacci e Zanasi.
E’ il 21 marzo, primo giorno di primavera, giorno in cui si inaugura la mensa, cuoco Vaccari, che sentiamo le prime cannonate. E’ quello il mio primo giorno di guerra. Gli inglesi nella notte hanno attaccato le posizioni a sinistra del nostro Btg. nella valle, a cavallo della rotabile che porta a Hel Hamma, di conseguenza la 1° compagnia che è nella mia sinistra viene a trovarsi sotto il fuoco nemico. E’ un duello di carri e di artiglieria, la fanteria non si fa vedere e noi rimaniamo acquattati nelle nostre buche. Proiettili fischiano nel cielo.
22 marzo. L’attacco continua, si nota con successo da parte del nemico, perché i colpi sempre più si estendono e scendono verso Hel Hamma. Anche la nostra compagnia viene a trovarsi sotto il fuoco nemico. aggiungasi il continuo scorrazzare nel cielo di aerei nemici che scendono a bassa quota e mitragliano. Io rimango tutto il giorno in linea accanto ai soldati del mio caposaldo. Scrutiamo il fronte a noi dinanzi, nulla, uomini non se ne vedono. Solo i tiri di artiglieria continuano a fischiare sulle nostre teste e scoppiano qua e la. Soltanto a sera viene la calma e con essa la distribuzione viveri. Niente acqua però, l’autobotte non è venuta e la riserva è alla 1° compagnia, meglio aspettare domani. Mangio e mi corico sulla brandina, è nel mio cuore la speranza che i nostri aerei ricaccino gli inglesi, ma … sono le prime ore della notte quando mi svegliano di soprassalto. E’ Pasca di Ferrara: – Sig, Tenente hanno telefonato alla 3° compagnia di ripiegare -. E’ un fulmine a ciel sereno, intanto arriva Bonfiglioli con la moto, conferma l’ordine a me e al Capitano. Bisogna far presto i tedeschi alle 4 sganciano dal nemico. rimanendo dove siamo saremmo tagliati fuori quindi circondati, bisogna puntare verso Tebaga. Portare tutto quello che si può, prima le armi. Il ripiegamento è naturalmente a piedi. Addio brandina, addio cassetta. Addio comodità. E’ la guerra! Chiamo Pippone, al tenue lumicino ad olio faccio i preparativi, lascio l’elmetto, lascio la maschera, il binocolo quasi scassato, e borraccia a tracolla moschetto, zaino in spalla con due coperte, pastrano giubba a vento, tutta la biancheria, le foto le cose care, la borsa di pelle, e con tutto quel po’ po’ di fardello, via alla testa dei miei soldati. Viene l’alba del 23 marzo, e con essa la notizia che bisogna scavalcare le pendici del Tebaga a valle non si passa più.

La guerra: parte seconda

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Verso mezzogiorno arrivo sfinito alla vetta, ai miei occhi si presenta estesissimo il deserto degli sciot. Bisogna affrontarlo per raggiungere i primi luoghi abitati. Il più vicino è Hel Hamma. Ma Hel Hamma è ancora italiana? O già gli inglesi coi loro carri veloci sono arrivati là , in ogni modo occorre muoversi far presto. Chi da una parte chi dall’altra scende a valle. Io sono senza acqua. Ho visto dall’alto nel deserto un luccichio forse è un ruscelletto, punterò prima su quello. Mi faccio forza ed inizio la discesa. Mi seguono quei fedeli che mi saranno vicini, Dondi, Papi, Bernardi ecc… Pippone nonostante le mie raccomandazioni è rimasto indietro, mi si dice che aveva fame ed era ritornato indietro per prendere della galletta. Sicuramente l’hanno preso perché mentre salivo l’erta avevo visto delle camionette scorrazzare a valle.

A metà discesa non ce la faccio più, getto il pastrano e una coperta e un po’ di roba me la pigliano nel loro zaino Dondi, Bernardi e Golfieri poi proseguiamo, a valle mi congiungo con Colombini, Jacci e Zanasi, ci uniamo quindi al Colonnello e con lui si prosegue. Nel pomeriggio all’orizzonte si profilano delle nuvole di polvere, sono nostri autocarri è la salvezza.
Ci portiamo sulla pista e trovato l’autocarro che ci fa salire verso sera arriviamo, stanchi, affamati, assetati a Hel Hamma ancora italiana. Nell’oasi tutto il battaglione è riunito e rivedo il mio capitano. Manca all’appello Pippone, lo metto perduto. Arriva la posta. Però da mia mamma nulla, è una lettera di Adriana. Ritorniamo nel nostro vecchio campo. Non ho più la mia bella tenda, è rimasta lassù, dorma all’addiaccio in mezzo a Bernardi e Dondi. Il freddo durante la notte lo sentirò ugualmente.
Il giorno dopo, 24 marzo, arriva Pippone, ha fatto molta strada a piedi, e lo rimprovero per non avermi seguito. La giornata passa alacremente per la sistemazione dei reparti, preleviamo nuove armi, perché le nostre abbiamo dovuto abbandonarle sul Tebaga, e un po’ di materiale.
E’ poco ma bisogna accontentarsi. Con tristezza faccio l’inventario di ciò che rimane del mio corredo, gran parte del quale ho dovuto abbandonare sui monti. La sera con Pippone, mi preparo un giaciglio su delle cassette porta munizioni, ma la notte non riusciamo a dormire. E’ un continuo susseguirsi di aerei sull’oasi, un continuo bombardamento al lume dei razzi con paracadute. Qualche scheggia arriva nelle vicinanze della buca dove abbiamo cercato rifugio.
Il giorno seguente, 25 marzo, continua la riorganizzazione della compagnia, due mancano ancora all’appello e non rientreranno più. La sera nuova sistemazione con Papi e Vaccari, ma bisogna restare in buca fino al mattino causa il continuo bombardamento. 26 marzo, sistemo la mia roba in una cassetta da munizioni per alleggerire lo zaino. Si parla di lasciare Hel Hamma.
Infatti, la sera ordine di partenza. Dobbiamo formare una linea a sei km. dall’oasi, verso le vecchie posizioni. La notte è silenziosa, lumicini lontani ci dicono che il bombardamento per quella notte si è spostato su Gabes.
Con una silenziosa processione facciamo sei km fuori di Hel Hamma. Dovevamo trovare un reggimento di fanteria, sulla destra del quale dovevamo schierarci, però non esiste anima viva, il silenzio è profondo. Il colonnello ordina lo schieramento; è con noi anche un altro Btg. armato di soli fucili. Io ho tre mitra e nove cassette, costituisco un caposaldo con un mitra, un pezzo e un mitragliatore. Il terreno è piatto e sabbioso, non c’è scelta, sono sulla destra della rotabile di circa 1 km Improvvisamente il silenzio della notte è rotto da un crepitio lontano e un incrociarsi di proiettili traccianti sulla mia sinistra, mi fa comprendere che l’estrema sinistra del battaglione è attaccata.
I miei fanti sono in orgasmo, di fronte a noi non c’è nulla, alla sinistra quei proiettili che segnano con strisce di fuoco la notte, mi dice che il nemico non è di fronte, ma sulla sinistra. Cerco di calmare i miei fanti e mi impongo la calma, non so però rimanere fermo. Due tedeschi prima, due camion poi, passano accanto al caposaldo correndo verso le retrovie. Sono superstiti sbandati che fuggono.
La situazione è critica e sono senza notizie, do ordine di tener gli occhi aperti, nel buio potremmo essere attaccati improvvisamente. I colpi sulla sinistra cessano completamente. Cosa sarà successo?
Arriva intanto il colonnello in moto, non è possibile resistere con quello schieramento, il nemico ha attaccato la nostra sinistra, bisogna portarsi di fronte al nemico; ripiegare.

La guerra: parte terza

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Senza perdere tempo raduno i miei uomini, è la squadra di Vaccari che in fila indiana mi segue con le armi. Dopo circa mezzora incrocio con Ughi che ha tutta la compagnia alle calcagna. Pippone non è con me. Così unito a Ughi verso l’alba raggiungiamo quasi la rotabile di Kebile. Artiglierie tedesche ci sorpassano e chiedono di Hel Hamma. L’oasi si profila non lontana. Raggiungo Hel Hamma. Un ufficiale di altro reparto mi grida che autocarri aspettano le truppe ripieganti. Formulo un piano: raggiungere il vecchio accampamento, prendere la nostra roba e andare dentro Hel Hamma a prendere gli autocarri. Mantovani che era rimasto con alcuni uomini nell’oasi non c’è più e nemmeno gli uomini.
Gli arabi hanno saccheggiato tutto.

Trovo la mia cassetta intatta, Prampolini mi aiuta e ci dirigiamo verso il centro del paese. Le artiglierie tedesche sono schierate sulla strada e attendono a piè fermo il nemico. intanto arriva Bonfiglioli in moto e mi dice di raggiungere il vecchio accampamento perché si rimane nell’oasi. Incontro Bargellini coi resti della sua compagnia. Hanno perduto un caposaldo intero e mi racconta come ritengono siano scomparsi Scaramelli coi suoi uomini attaccati da carri nemici. Erano i pezzi e le mitra di Scaramelli che avevano crepitato in quella notte.
Rifaccio la strada percorsa per rientrare nell’accampamento quando a bassa quota arrivano i caccia inglesi, mitragliamento generale. Mi rifugio negli anfratti del terreno sempre con Prampolini che mi aiuta a trasportare la cassetta. Al colmo della giostra anche le artiglierie sparano e le granate fischiano e scoppiano.
E’ una confusione infernale, ed io devo raggiungere coi miei uomini l’accampamento. Con tratti di corsa, buttandomi nei fossati e in tutte le buche, riesco a raggiungere l’accampamento. Sono sfinito; chino nella buca apro la cassetta e rimetto tutto nello zaino, qualche altro indumento resta per terra.
Ecco il colonnello! Ordina di raggiungere il limite dell’oasi per lo schieramento e precisamente alla sussistenza abbandonata. Raduno il plotone, Pippone manca all’appello e qualche altro.
Nel pomeriggio finalmente ritroviamo il resto del battaglione e ci schieriamo all’interno della sussistenza. Disastro di materiali e di viveri, montagne di sigarette che bruciano, olio, scatolette, vino in botti sconquassate, tutto un attendamento sottosopra. Pasta, farina per terra.
Li però troviamo di che rifornirci, perché è dal giorno prima che non si mangia. Lo schieramento è di fianco ai tedeschi; e dopo aver mangiato, bevuto, rincuorati, attendiamo impavidi il nemico. di munizioni c’è un deposito. Trovo una bella buca, un libro giallo da leggere. Con un telo da tenda sopra la buca, alcune stuoie sotto, una candela, e mi addormento come un ghiro al suono delle artiglierie non ancora calmate.
28 marzo. Pippone non è rientrato, Dondi che sempre mi è stato accanto, l’assumo come attendente. Siamo in linea coi tedeschi, i poderosi “ottantotto” sono puntati verso il deserto, quei pochi carri che si fanno vedere vengono spacciati. Noi siamo l’unica fanteria italiana nell’oasi.
Durante il giorno, pasta asciutta con tonno, non mancano nemmeno le caramelle. Il giorno passa lentamente. Qualche breve ma violento bombardamento dell’artiglieria, i carri non osano avvicinarsi. E’ sera e cattive voci corrono, si deve lasciare Hel Hamma; è un altro ripiegamento? Perché? La realtà è dura, è così infatti. Alle 10 di sera le artiglierie tedesche lasciano silenziosamente le posizioni. È una di quelle notti di profondo silenzio che maggiormente ti fanno sentire la vicinanza del nemico in agguato.
Il mio Btg rimane solo davanti al nemico, si attende l’ordine di lasciare anche noi le posizioni, ma l’ordine non arriva. Sono momenti di ansia, ci si chiede: i nostri pezzi potranno fermare le andate dei carri? Finalmente l’ordine arriva, si sono ricordati di noi.
Niente autocarri, si parte a piedi con tutte le armi a spalla. Lascio il mio materiale in un mucchio con a guardia il Serg. Vaccari. Ordine: Se arriva l’autocarro, caricare tutto, se non arriva entro qualche ora, squagliarsela per il deserto. Altra faticosa marcia notturna; è verso l’alba quando troviamo un autocarro italiano al servizio dei tedeschi, lo fermo, intendo di caricare le armi, finalmente raggiungo lo scopo. Tutte le armi del battaglione in un momento sono caricate. Si prosegue e l’autocarro ci precede.
I miei fedeli come al solito mi sono vicini, Dondi e Papi ora alleggeriti mi aiutano a portare la roba. E’ quasi l’alba del 29 quando osserviamo sulla nostra destra i lumi vicinissimi che dondolano in cielo. E’ il bombardamento di Gabes. Ci fermiamo per riposare. Il freddo e l’umidità del mattino ci sveglia e la marcia continua. A giorno fatto ecco finalmente la salvezza: gli autocarri.
Con un giro viziosissimo attraverso campi minati raggiungiamo la linea della divisione “Pistoia”, la mia vecchia divisione e vedo il Gen. Falugi comandante di essa. Sono le prime ore del pomeriggio quando ci sbarcano in una valletta che sembra fuori dal mondo. Non c’è anima viva e siamo in pieno deserto collinoso. Poco dopo ci dicono che le linee sono vicinissime. L’autocarro delle armi non è stato rintracciato. Viene a piovere e mi riparo con i miei fanti sotto una roccia. Non abbiamo neanche un telo da tenda. Abbiamo di nuovo perso tutto. Gli zaini rimasero nell’oasi, le armi sull’autocarro. Sotto la roccia prepariamo un giaciglio per la notte.
Ci sono persino soldati senza le coperte, è una tragedia. Fa un freddo tremendo e la notte è umida. Chi ha dormito? Ma anche quella notte passa
30 marzo, si attendono i viveri, per fortuna l’acqua c’è, una pozza di acqua dolce per bere e una di acqua salata per lavarsi. L’attesa è lunga, poi un autocarro si profila all’orizzonte, arrivano le gallette e le scatolette. Il problema che immediatamente dopo si presenta è il rifugio per la notte. Mi aggrego a Colombini e coi due teli da tenda, uno mio e uno dell’attendente costruiamo un riparo che ricovera per la notte lui, Saverino il dottore, Papi, l’attendente di Colombini ed io.
Sotto abbiamo messo molta erba secca, dall’alto non viene la guazza, siamo stretti e caldi caldi riusciamo a dormire. Il giorno dopo, coi soli fucili ci buttano in linea. Rivediamo gente nuova e vecchia. In linea c’è un reparto del genio che incosciente della situazione viene a sapere che è in prima linea. Vengono dall’Italia e sono atrezzatissimi. Chiedo un telo da tenda per fare un rifugio, non riesco a trovarlo, in cambio però mi viene offerto un liquore e una tenda vuota dove potrò trascorrere la notte coi miei fedeli. Fra i genieri incontro un concittadino un certo Rossi dei Due Canali. Insieme trascorriamo la serata e scriviamo a casa una cartolina. Ci offre del vino che accettiamo volentieri.
1° aprile. Nella mattinata il battaglione del genio lascia la linea. Arrangio con semplicità un telo da tenda e coll’aiuto di cassette da galletta in giornata riusciamo a costruire un magnifico rifugio per tre: io, Papi e Dondi. Il tratto di fronte è calmo e si sta bene, si spera di rimanere a lungo. Di fronte a noi c’è il deserto degli Sciot, all’orizzonte si profila il Tebaga, mia vecchia conoscenza. Un km davanti la linea ci sono dei pozzi. Unica difficoltà l’arrivo dei viveri. Il giorno, così, passa lentamente in attesa di riempire lo stomaco. Finalmente il solito menù: scatoletta e galletta.
E’ il 2 aprile e arrivano delle armi, costruisco un caposaldo. Sono Sekfarslase, ma sparano. Cominciamo a rincuorarci. Scriviamo a casa e la sera partita a “Cotechino” con Colombini e i miei giannizzeri. Lavoriamo per sistemare le postazioni e così, sicuri di rimanere un po’ di tempo, anche perché si spera che alla nostra sinistra la divisione “Pistoia” regga l’urto e fermi l’avanzata nemica. Mi accorgo di avere dei franchi francesi e mi accingo a comprare mangerecci dagli arabi che capitano ai pozzi.
Il 3 aprile esco di pattuglia sul deserto, ma tutto è calmo e rientro senza novità.
Il mattino del sei aprile visita del generale alle posizioni c’è anche il colonnello Mango. Ci dice di non mollare ed io mi formo la convinzione di rimanere a lungo su quelle linee. Tristi notizie però sono arrivate. La “Pistoia” combatte duramente e il colonnello Albertazzi è caduto, e così il ten Pini e il S. Ten. Borghi. Quelle notizie mi danno una stretta al cuore. Durante il giorno via vai di aerei nemici, nel pomeriggio arriva una compagnia di pezzi da 47/32 con autocarri. Stiamo invidiando quei colleghi che freschi arrivano dall’Italia con tutto il loro bagaglio, quando improvvisamente arrivano parecchi aerei inglesi a bassissima quota. Il carosello si stringe proprio sulle nostre linee e “picchia” sugli autocarri.

Disegno del taccuino di mio padre

Corro alla “mitra” che è alla mia sinistra mentre un aereo punta alla mia quota, raffica sulla mia direzione dell’aereo, mi precipito a capo fitto nella buca dell’arma, i colpi passano vicini alla buca. Mi attacco all’arma nella speranza di poter piantare qualche colpo nella pancia di un aereo. La mitra ha il volantino arrugginito e non riesco a sbloccarlo; altra mitragliata, l’aereo “picchia” sugli autocarri, mi mordo le mani per non poter sparare, le raffiche escono dall’aereo, un autocarro si incendia e il carosello continua. Un autocarro con rimorchio è in preda alle fiamme. Proprio li sopra, ironia della sorte ci sono i bagagli degli ufficiali appena giunti, molti zaini di soldati, munizioni, sul rimorchio i pezzi da 47.
L’autocarro piano piano scoppiando a tratti, brucia completamente. La sera dopo aver fatto una puntata ai pozzi per l’acqua mi ritiro nella buca per coricarmi. Calmo stavo organizzandomi il giaciglio quando arriva il porta ordini del capitano tutto trafelato. Bisogna far fagotto e partire immediatamente, si ripiega. Io non ci capisco un’acca e col pianto nel cuore, sfascio il mio rifugio, e, mentre ancora l’autocarro brucia, al lume di quei bagliori rossastri si parte. Sono appena le 22 e penso che dovrò camminare fino al mattino. Mi porto in testa ai miei uomini e seguo quella lunghissima colonna che si snoda nella notte.
Dopo parecchie ore di cammino alt. Si dorme. Il terreno sassoso fa un po’ riposare le mie membra ma il mattino sopraggiungente ci sveglia col suo umido freddo. La colonna procede a zig zag. Non si conosce la via da seguire. L’ordine di ripiegamento era molto laconico: “Ripiegare verso nord”.

7 Aprile 1943: la cattura

Questo è l’ultimo capitolo del mio diario di guerra, che per la verità è stata molto breve, cioè la guerra per me. Si marcia verso il nord in ordine sparso coi plotoni in fila ordinatamente. Viene giorno io spero anche questa volta di cavarmela, ma sono molto stanco. Vedo profilarsi all’orizzonte una catena di montagne, forse è la nostra meta, il mio sguardo è fisso costantemente come per attrarle più vicino.
Sembrano immobili. E’ quasi mezzogiorno, incrociamo una strada asfaltata, è la rotabile Gafsa – Gabes. Si procede in senso verticale sulla strada. Ore due fermata sotto il sole cocente, siamo sparpagliati in un raggio di due km. Siamo un migliaio di uomini stanchi di camminare, con appetito. Le armi sulle spalle dei soldati sono diventate pesantissime. I miei fedeli mi sono vicini.

Arriva una camionetta del raggruppamento ci avverte che più avanti ci saranno gli autocarri e di riposarci. Mangio una scatoletta, mi tolgo le scarpe, metto ordine nello zaino, mi sdraio sull’erba. Ore 4, vengono notate alle nostre spalle nuvole di polvere che si avvicinano. Sono camionette, nostre? Loro? Non si vede. Un forte gruppo di aerei da bombardamento passano sulle nostre teste.
Intanto le camionette si avvicinano a noi, ancora non si distingue. Un soldato mi si avvicina timoroso e mi chiede come faremo se sono nemiche. Io rispondo semplicemente: “se è qualche camionetta non ci farà certo paura, siamo un migliaio di uomini”. Ma ahimè la realtà è ben più dura è una colonna che si avanza e gruppetti di ritardatari già alzano le mani, là, lontano, si vedono. Si sentono crepitare armi automatiche. Ci siamo, è finita. Penso che noi abbiamo solo i fucili e che una resistenza è impossibile. Volgo uno sguardo al comandante di Btg, è seduto, abbattuto, sconfitto, vinto, non dà segno di vita.

Povero uomo è finita anche per lui. Io sono calmissimo, capisco che sto facendo un brutto trapasso, ma che ci possa fare? Penso alla mia roba che butto nello zaino, mi rimetto le scarpe che mi ero tolte e sempre seduto osservo la scenetta non comune che si presenta ai miei occhi. Un migliaio di braccia alzate alcune delle quali sventolano fazzoletti bianchi. Si nota quale fifa abbiano tutti. Un cerchio largo di camionette si è fatto intorno a noi, ma si fa avanti e in piedi, si vede un ufficiale brandire un’arma automatica. Un gruppetto di soldati con le mani in alto si serrano intorno alla camionetta.

Quello lassù urla una lingua sconosciuta e fa dei cenni strani, quelli non capiscono e si serrano intorno, io capisco che voleva dire di incolonnarsi e di fare dietro front, ma quelli niente stanno intorno a lui gesticolando con le mani in alto. A un tratto quello si fa capire in altro modo, spara a bruciapelo in mezzo a quei disgraziati. Urla di terrore, fuggi fuggi generale. Urlano: lasciare le armi, correre, buttare gli zaini, mi investe un gruppo di scalmanati che scappano dopo aver fatto dietro front, che devo fare, raccolgo lo zaino e anch’io ritorno sui miei passi, tutti quei forsennati, spaventati corrono come matti, anch’io devo un po’ accelerare, lo zaino mi pesa, allora penso di togliere le cose più utili, una coperta, la giubba a vento, ho la borsa di pelle, terrò quella, estraggo un po’ di gallette una scatoletta, il resto lo butto a terra, chi ce la fa più a portarlo se dobbiamo ancora fare della strada. Dondi, che mi era vicino fino all’ultimo momento, quando sentì quegli spari in mezzo a noi piantò a terra zaini e coperte e se la diede a gambe.

Dopo circa dieci minuti dal fuggi fuggi, ci trovammo tutti incolonnati, disarmati, spogli. Io avevo la mia borsa di pelle. Dentro avevo le fotografie per fortuna. Poi penso che potevo tenere anche un asciugamano, qualche fazzoletto. Pazienza oramai lo zaino lo avevo buttato. La colonna si ferma. In seguito a quella sparatoria fra di noi c’è un ferito, un soldato ha un profondo squarcio sul viso e sanguina come un porcellino. Viene portato via immediatamente. Segue visita agli zaini io non ho più nulla e mi sbrigo presto. Finita la visita ci si incolonna ancora e si ritorna sulla strada che avevo attraversato a mezzogiorno.

Si procede verso Gafsa. Abbiamo una piccola scorta, oramai non siamo che un branco di pecore. Dondi mi è di nuovo vicino è rimasto con solo quello che ha indosso. E mi spiega la paura che ha avuto. Già che “spicca” inglese parla coi soldati americani di scorta. Zanasi nel frattempo ha tagliato la corda gli abbiamo augurato buona fortuna. Buttadori nell’erba alta è rimasto fermo fino a che la colonna non è sfilata, poi se l’è data a gambe. Dopo un po’ ci fermiamo in cerchio e ci riposiamo, ci sistemiamo per pernottare all’addiaccio. Ho una coperta sola. Mi butto sulla nuda terra e cerco di dormire. Accolgo anche Dondi vicino a me, in due staremo più caldi. La notte diventa fredda, dormire è impossibile, camminare non si può c’è il pericolo di una fucilata. Ed allora batto i denti dal freddo e penso ai casi miei.