Corri

Lei odiava correre, non le era mai piaciuto, ma proprio mai! E non riusciva nemmeno a capire come fare tanta fatica a mettere un passo dietro l’altro desse ad alcuni tanta soddisfazione. Il suo massimo era camminare, in pianura, rigorosamente sul piano perché anche andare in salita le costava una fatica terribile. Forse era nel suo DNA di donna nata in pianura, in quelle zone in cui non si riusciva a vedere l’orizzonte perché c’era sempre un ostacolo davanti allo sguardo. Camminare in piano, sì, poteva fare chilometri, col passo cadenzato del viandante, ma appena arrivava una piccola salita, anche solo un cavalcavia, ecco che le veniva il fiatone.

Quindi di correre non se ne parlava proprio. Eppure le era sempre piaciuto il gesto atletico della corsa, la falcata ampia che consentiva un momento di volo tra un passo e l’altro. la leggerezza del corpo sollevato da terra per avanzare, le braccia che oscillano ritmicamente, la tesa diritta, lo sguardo verso il traguardo, qualunque esso sia.

Era un piacere estetico il suo che si manifestava quando le capitava di assistere a una gara; tanto lei era negata per correre, tanto ammirava chi ci riusciva. Fosse una lunga distanza in cui l’atleta macina chilometri o una corsa breve in cui il corpo si distende dai blocchi fino al traguardo con una potenza che lascia stupiti.

In effetti ci avevano provato a farla correre, da ragazzina a scuola, obbligandola a innumerevoli giri di palestra, o campestri nebbiose, perché si correvano sempre d’inverno. Lei aveva subito fatto capire che non era quello che le piaceva o che voleva, Lei preferiva saltare e si era dedicata a un’altra dimensione nello spazio, l’altezza: Altezza, larghezza profondità.

Se la corsa era profondità, penetrazione dello spazio che ci si presenta davanti, l’altezza era la sfida alla gravità, superare l’asticella, andare in alto, sempre più in alto, ma anche saltare per raggiungere un pallone per una schiacciata, elevarsi, staccarsi da terra, lasciare la propria ombra per ritrovarla dopo pochi istanti.

Però anche se  la corsa non era nelle sue corde, nella vita non aveva fatto che correre, metaforicamente, e vero, ma quante corse aveva fatto! Il suo passo misurato e prudente, accelerava di colpo quando doveva prendere una decisione o doveva affrontare una difficoltà. Era come se il suo cuore prendesse il ritmo della corsa e i suoi passi si allungassero sulla strada da percorrere.

Aveva corso quando si era ribellata decidendo di cambiare città per studiare, aveva corso quando aveva scelto l’uomo che poi non si era rivelato quello giusto, aveva corso quando aveva tentato di rincorrere un oblio che le era stato negato, poi aveva corso quando si era ritrovata sola ad affrontare la vita. 

Erano corse? L’affanno c’era stato, il respiro corto pure, i passi lunghi ad aggredire la strada della vita anche; il sentirsi sollevata da terra in parabole rischiose la facevano sentire come una maratoneta che doveva assolutamente raggiungere un traguardo.

E il traguardo era Lei la sua integrità, la sua personalità, l’essere diversa ta tutti e tutte per poter conquistare una medaglia, non d’oro e nemmeno di latta, ma una medaglia che la facesse sentire vincente per se stessa. 

E allora corri, donna, corri, fai vedere chi sei.

Ada Ascari 22 agosto 2023
Inviato al contest narrativo “3mila6cento” organizzato e promosso dall’Associazione Culturale e Casa Editrice “Il foglio letterario”.


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