
È strano che gli ultimi due libri che ho letto, dopo un periodo di apatia, siano stati due libri che si occupano di morte, perdite, ricordi.
Del primo “Cambiare l’acqua ai fiori” ne ho parlato qualche giorno fa, proprio su questo blog, del secondo mi accingo con emozione a parlarne.
“Una donna”, una madre vista attraverso gli occhi della figlia in un percorso che inizia il giorno della sua morte e che poi prosegue cronologicamente dalla nascita fino a tornare al punto di inizio quasi come si fosse chiuso un cerchio.
Annie Ernaux ha scritto “Una donna”, ma avrebbe potuto chiamarsi “Una madre” dal momento che la sua figura è vista con gli occhi della figlia che ricostruisce il rapporto di amore odio con lei nel corso degli anni. Si dice che le figlie femmine amino il padre e siano in conflitto con la madre, un conflitto che negli anni però si stempera nel momento in cui ci si riconosce nella donna che ci ha messo al mondo. Ogni figlia è sua madre, per quanto possiamo rinnegarla e non accettarla.
Mi sono bevuta le parole che la Ernaux ha depositato tra le pagine, le ho sorseggiate sentendo spesso che avrebbero potuto essere mie, le stesse che avrei potuto rivolgere e mia madre. Mi ci sono identificata, ho rivisto mia madre sovrapposta alla sua, ho udito le stesse parole, ho risentito gli stessi sentimenti, le insofferenze, l’odio e poi l’amore, la stessa voglia di andarmene, di fuggire, e la stessa nostalgia di tornare da lei.
Una scrittura, quella della Ernaux, asciutta secca, quasi chirurgica nelle sue affermazioni; frasi che potrebbero essere staccate le une dalle altre e che avrebbero comunque senso, ma che ne hanno di più messe una dietro l’altra nella cronologia di una vita di donna forte, decisa, determinata a dare alla figlia ciò che lei non aveva potuto avere.
Non mi vergogno a dire che ho pianto leggendo le ultime pagine del libro quando la madre diventa sempre più indifesa e bambina, quando la figlia stessa non riesce più a riconoscerla, e si trova costretta a trasferirla in una ambiente più adatto alla sua malattia.
Ospedale, casa di riposo, lungo degenza, hospice, sono questi i luoghi che ci aspettano, luoghi che accolgono chi non può più vivere con i propri cari, luoghi che oggi sono sempre più invalicabili e solitari dopo il Covid.
Ma sto divagando, la donna raccontata dalla Ernaux è stata fortunata, anche se inconsapevole ha avuto chi la accudiva, andava da lei e la ascoltava, ha avuto chi la accarezzava sul volto sdentato.
Invidio la Ernaux, che ha potuto stare tanto tempo con la donna che l’ha messa al mondo, che l’ha vista invecchiare e ha goduto di lei fino alla fine, io non ho avuto questo privilegio, mia madre se ne è andata troppo presto, ma sento spesso nei sogni la donna, quella donna, che mi faceva impazzire con le sue raccomandazioni, i suoi consigli non richiesti, le parole insopportabili, ma anche l’amore che provo ancora per lei. Quello stesso amore che ha spinto una figlia, con un grande talento per la scrittura a descrivercela e farcela conoscere, a mettercela davanti, nella sua semplicità di donna.
Grazie Annie di avere scritto un libro così bello e intenso.
Una risposta a “Annie Ernaux: “Una donna””
[…] Annie Ernaux: “Una donna” la recensione la si può trovare qui. […]