
Negli ultimi tempi credo di essere diventata abbastanza monotematica, l’autobiografia prende moltissimo il mio tempo e la mia vita. Ci sguazzo dentro ed è per questo che ultimamente – sembrerà strano – mi è venuta una certa nausea a leggere le vite degli altri. Evito gli inviti a leggere autobiografie altrui, se me lo chiedono cerco di declinare, delego qualcun altro, svicolo, trovo scuse.
E invece, improvvisamente sono precipitata dentro una autobiografia, per giunta di un personaggio famoso, per giunta sportivo e per giunta scritta da un ghostwriter.
Ma… ma me ne hanno parlato bene, ma è estate ed ho più tempo libero, ma scatta qualcosa e comincio a leggere.
Ho sempre avuto diffidenza per le autobiografia di personaggi famosi, non ho mai creduto per un solo istante che si siano scritti da soli, i ghostwriter prosperano per questi soggetti. Non riesco a vedere un calciatore, un cantante, uno shoman seduti a tavolino a scrivere, al massimo li vedo con lo smartphone in mano a twittare.
Poi da ex sportiva, diffido delle storie di sport, conosco l’ambiente, gli sportivi sono spesso narcisisti ed egocentrici, quasi mai sinceri. Non chiedetemi perché ho questa opinione! Inoltre il tennis non mi è mai piaciuto, mi annoia assistere -sul campo o in Tv- e a causa di un mio difetto visivo non l’ho mai praticato, la pallina era sempre in un posto diverso da dove la vedevo io.
Eppure… le prime pagine mi hanno immediatamente catturata. Sono entrata nella gabbia dorata del dolore, del corpo che si ribella alla fatica, dello sforzo immane che si può sentire anche solo per alzare un braccio, ho sentito i muscoli che si irrigidiscono per l’acido lattico; attraverso le parole dure, secche, ho sentito gli scricchiolii delle ossa, il cigolio delle articolazioni che si mettono in movimento, sono entrata nella mente di un personaggio che avevo visto solo di sfuggita in Tv o su qualche rotocalco.
Ho chiuso di colpo il libro. Per interminabili minuti ho guardato gli occhi che mi fissavano dalla copertina. Chi è costui, questo sconosciuto che mi guarda e sembra voglia catturarmi con lo sguardo?
Era così che guardava gli avversari? Agassi nel libro parla con se stesso e non può essere diversamente dal momento che ha parlato per sei mesi con il suo scrittore. Immagino le cascate di parole, le descrizioni minuziose di ogni mach, di ogni game di ogni punto fatto o subito, ognuno diverso dall’altro, tanto che anche se sono descritti minuziosamente non annoiano mai. Avrebbe potuto essere un libro noioso, come trovavo noiose le partite in Tv, con la testa che va da destra e sinistra e viceversa a seguire la pallina gialla, pelosa: toc, toc, toc, un orologio a intermittenza nel silenzio di 1000, 2000 spettatori, a volte anche di più, che come pendoli viventi seguono il ritmo del gioco.
Il gioco, non un gioco, ma un lavoro, duro, sfibrante, logorante, spicologicamente annientante, una sequela di participi presenti che si inseguono nella testa di chi deve vincere, deve vincere per forza in un balletto, un passo a due tra ballerini che non si sfiorano mai.
Sono arrivata alla fine del libro in tre giorni, ho mangiato, mi sono nutrita di 500 pagine perché avevo fame di sapere, saper sempre di più, perché Andre era diventato Agassi, uno dei più bravi e controversi atleti di tutti i tempi. Come Napoleone, dagli altrari nella polvere e poi di nuovo su, non una volta, ma più e più volte sempre odiando il tennis, sempre senza la volontà di lasciare, mollare, abbandorare, ritirarsi. Avanti, avanti, sempre avanti, tra errori e frustrazioni, odio e amore, capelli lunghi da punk rasati in un attimo e per sempre, droga presa per disperazione, punture dolorose di cortisone nella schiena col rischio di restare paralizzato a vita.
Cosa fa andare avanti un uomo in quelle condizioni, cosa lo fa perseverare a distruggersi? I soldi? Certo i soldi sono un bel incentivo, ma non credo che siano stati la molla, una vittoria vale denaro, ma non è per questo che si vince, si vince per essere il migliore, in assoluto, un attimo di ebrezza che però svanisce subito e proietta verso un altro incontro, un altro Slam, che sarà ogni volta diverso. Ogni mach una storia, una tappa sul saliscendi della vita.
Bravo il ghostwriter – J.R. Moehringer-, un applauso anche a lui, e alla fine anche l’ammissione dello stesso Agassi, senza di lui non avrei mai reso pubblica la mia vita. Da parte mia una invidia sotterranea, come sarebbe stato bello essere lì ad ascoltare -non solo leggere- Andre che racconta.
E brava la traduttrice – Giuliana Lupi – ci si dimentica sempre di chi ci fa da filtro con un lingua straniera.
Non rimane che una cosa da dire: leggetelo!
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