
Settembre 1944
“Anime semplici” è il titolo di una raccolta di impressioni di quadretti di vita vissuta a contatto, appunto, con anime semplici e fatta da un amico mio che come me è prigioniero di guerra.
“Anime semplici” è, opera ancora incompiuta, frutto delle lunghe meditazioni a cui l’autore è, come un po’ tutti noi, soggetto.
E’ padrone della nostra bella lingua, e non è uno di quegli scribacchini che, perché prigionieri e avendo tempo a disposizione, si sono dati alla penna, è uno che sa il fatto suo, e se un giorno i suoi scritti saranno giudicati degni di affrontare la stampa e il pubblico, non sarà certamente egli ad opporsi. Ma quello a cui volevo giungere io, non è questo; l’autore di Anime semplici” qualche giorno fa, pregato da noi amici di farci lettura della sua opera, gentilmente ha esaudito il nostro desiderio, leggendoci alcuni brani del lavoro. Non voglio fare la critica a quanto mi è stato letto, perché non sarei all’altezza del compito; però durante la lettura a anche dopo, quando ripensavo a quelle figure umili e semplici, descritte così bene, ed accanto ad alcune delle quali anch’io avevo vissuto, mi è venuto di riflettere.
Devo premettere che, negli ultimi anni antecedenti la prigionia, ho vissuto con l’autore la stessa vita, allo stesso reparto, e appunto di quegli anni pieni di avvenimenti, di viaggi, di soste in piccoli paesi e in grandi città, egli parla.
La materia era tanta, e i suoi personaggi li ha trovati con facilità, tra i suoi stessi soldati, tra gli scugnizzi della strada, tra le zitelle romantiche, tra le vecchie affittacamere, tutte anime semplici che io ho conosciuto nella vita e che ho sentito rivivere attraverso la lettura. Il lavoro non è finito e la materia non è esaurita, ma, ho chiesto a me stesso e su questo ho riflettuto a lungo: quando il nostro caro amico e autore arriverà al periodo della sua vita: “Prigionia”; dove troverà le anime semplici?
Ecco il nocciolo della questione che mi sono posto!
Non conosco le intenzioni dell’autore e nemmeno ho voluto chiederglielo, ma immagino che arrivati a quel punto, segnato da un reticolato, egli si troverà nei guai se vorrà continuare la sua opera, oppure dovrà mettere la parola fine a quel punto. Perché? chiederà il profano; perché io, in prigionia non ho ancora incontrata un’anima semplice; non solo, ma tra il migliaio di anime che popolano questo campo, se non troviamo quella semplice, scopriamo con facilità l’anima tormentata o meglio, l’anima complessa.
Ecco, caro autore di Anime semplici”, il contrasto che hai fatto sorgere nella mia mente con la lettura del tuo lavoro. Probabilmente tu avrai già pensato a questo e se non finirai la tua opera quando giungerai a quel triste periodo della tua vita, avrai sempre, per contrasto, la materia per un ottimo capitolo di chiusa che potrai intitolare: Anime complesse”. Io, però, voglio rubarti per un momento la penna e vedere un po’ cosa potrei ottenere io da qualcuno di quei soggetti.
Non mi muovo dallo scompartimento della baracca in cui vivo, da quell’angolo dove ho costruito un tavolino rudimentale e dove passo la maggio parte della giornata.
Sono le nove di ogni mattina, il mio personaggio arriva con passo strascicato e indolente; si sofferma alla soglia della sezione e saluta con un piccolo inchino da maggiordomo, la sua voce pacata e voluta sussurra un: “Buon giorno signori!” L’hanno soprannominato “Conte”, però, in ogni modo il nomignolo può andare, lui ci tiene.
Buon giorno “Conte”, eravamo in pensiero per te, sei in ritardo. Entra, si siede, sprofondandosi in un letto con movimento ampio e ricercato e incomincia a parlare. Le sue parole, le sue frasi. I suoi ragionamenti escono sconclusionati, sforzati, dopo lunghe perifrasi e digressioni cerca di concludere e non gli riesce. “E’ lunga?” chiediamo, ansiosi di sentire la fine della elocuzione, egli si interrompe, rimane un attimo perplesso, ha perso l’intricato filo del suo ragionamento, rinuncia a concludere. Ma oramai si è piazzato nel letto e non si muoverà più.
L’amico, scrittore di “Anime semplici”, che io ho preso come mio “Maestro” e mio “Autore”, è anche il compagno che divide con me l’alloggio datomi, e colui che con me sopporta la compagnia del “Conte”; forse sbaglio dire “sopporta”, perché quando il soggetto, del quale sto esaminando l’anima complessa, non compare nel nostro “box”, ne sentiamo la mancanza.
Essendo il “Conte” diplomato in “belle arti” e possedendo il pomposo titolo di “Professore di figura”, “lo mio maestro” gli ha chiesto di illustrare con qualche schizzo o impressione, alcune scenette di “Anime semplici”. Il Conte naturalmente, colla facilità con cui promette ogni cosa, con quella facilità che ha a non mantenere ogni promessa fatta, ha accettato con piacere l’incarico offertogli, però da parecchi e svariati mesi si è permesso il lusso di consumare quanta carta era nelle nostre possibilità di potergli mettere sottomano, ma nessuno “schizzo” è ancora apparso alla luce. Io mai gli avevo chiesto nulla ma, o perché la mia “figura” lo ispira o per non so quale motivo, ha riempito di “impressioni” la carta da disegno che io gli cedo a sua richiesta.
“Lo mio Maestro” si accontenta di guardare i disegni che il conte mi ha fatto e sempre glielo dice, ma è come parlare a un muro.
“Signor Capitano,” dice il “Conte” (l’autore di “Anime semplici” è anche Capitano) “Signor Capitano, domani vi faccio un disegno, vedete, è ancora caldo, a settembre potrei farvi dei lavori, perché col fresco si lavora bene; già e se vado fuori? no, domani ve li faccio, se volessi tirarli via ve li farei in cinque minuti, ecco se domani è fresco ve li faccio, potrò così farvi qualcosa di serio, ma già, se è fresco, e se vado via? no ve li faccio anche se è caldo!”
L’indomani arriva, ha in mano una scatola di pastelli, la posa delicatamente sul tavolino del capitano, che non c’+, si siede, si prende la testa fra le mani.
“Ascaròs, dov’è il capitano? stamattina avevo una voglia di dormire, ma non sono riuscito a stare a letto, pensavo che avevo da fare Dov’é “Giacometta?” (Ahi Giacometta la tua ghirlandella, romanzo di Beltramelli) dammelo che leggo” Prende il libro.
” Ascaròs, ci sono dei momenti che vorrei leggere e non posso incominciare – come adesso – non posso leggere!”
Chiude il libro, si alza, viene al mio tavolino, prende il disegno che mi ha fatto il giorno prima, lo guarda e, col disegno fra le mani, si siede sul mio letto.
” Ascaròs, ci pensavo ieri sera, sai che ho reso l’idea con questo disegno? mi piace! già!”
Abbandona il disegno, si allunga nel mio letto, parla ancora per un po’, si addormenta. Passerà tutta la mattinata, tutto il giorno, ma il capitano non avrà i disegni del “Conte”.
Come giudicare un uomo simile? Come classificarlo? Ha moglie e un bimbo. Ho visto la fotografia, un amore di bimbo! Adora sua moglie e suo figlio. Vorrebbe scrivere loro belle lettere per esternare i suoi sentimenti, ma non sapendo usare così bene la penna, come usa il carboncino o matita o pennello, viene dal capitano e chiede: “Signor capitano, mi scrivete una bella lettera da mandare a casa?” Come è naturale, sia il capitano, che io, lo dissuadiamo da questa sua pretesa, perché è vergognoso farsi scrivere le lettere, quando, con un po’ di sforzo mentale, anche lui può riuscire.
“Scrivi tu la lettera, noi te la correggiamo, caso mai, così impari.”
Si mette all’opera, la rilegge ad alta voce, il capitano gliela corregge commentandone gli errori, gliela riconsegna. Il conte, si rimette al tavolino soddisfatto per ricopiarla con perfetta calligrafia; il capitano ed io usciamo dal “box”, che diventa silenzioso. Il Conte scrive a casa. Nessuno lo provochi per discutere, si salvi chi può! Un collega una sera si sedette davanti alla nostra sezione, si faceva crocchio. Questo collega ebbe il torto di iniziare una discussione.
“Mi meraviglio come abbiano fatto ufficiale dei maestrucoli che hanno vissuto sempre sul cucuzzolo di un monte; come possono quei maestrucoli educare dei soldati, degli uomini, alla guerra, quando non hanno fatto altro, nella vita, che insegnare l’A.B.C. a dei piccoli montanari? Quale dignità, quale signorilità posseggono essi, figli per lo più di artigiani ed operai, per rivestire la carica di “Signori ufficiali?”.
Il capitano ed io, a questa sortita, essendo entrambi maestri, non abbiamo ribattuto, non valeva la pena. Il conte invece abboccò.
“se lo vuoi sapere, caro amico, io sono figlio di falegname, e non sono nemmeno maestro, ma diplomato alle “belle arti”. Nonostante questo, ho sempre saputo parlare ai soldati, ho avuto ascendente su di loro, ho sempre posseduto quella dignità che compete a un ufficiale, ho saputo farmi voler bene dagli inferiori e dai superiori.
Anche se mio padre era un falegname ha saputo educarmi all’onestà e alla rettitudine. L’onestà, la dignità, la rettitudine, la signorilità, si acquisiscono, non sono ereditarie, caro mio, tu sai benissimo che dalle più umili origini sono scaturiti geni e grandi uomini, ed è inutile che ti porti degli esempi. Caro mio!”
Purtroppo questo tema rimarrà incompiuto, potrei stracciarlo, ma alcune cose di esso mi piacciono e voglio conservarle. Non lo finirò perché sento che non riesco a rendere chiare la figure che vorrei descrivere.
Non finirò perché il Capitano, mio maestro e mio autore è partito. Il Conte lo ha soddisfatto in parte con qualche lavoretto prima della partenza. Da me, il conte, si fa vedere più di rado, ora. … sono solo, mediterò la mia solitudine.