
Accettazione del mio corpo, delle mie rotondità, delle gambe pesanti. Confronti inevitabili in una spiaggia, anche se non vedo reginette di bellezza o fusti californiani. Vedo solo donne brutte e uomini sgraziati.
Mi consolo, la mia ritrosia a mostrarmi che rischiava il tracollo, si risolleva, il mio pudore può essere messo da parte. Non sfiguro, anzi, il mio costume rosso e intero è quasi elegante se paragonato a bichini rivelatori di ciccia pendula o grinze di carne antica, quasi sfatta.
Sulla spiaggia appare l’umanità nuda, spogliata dei segni rivelatori dello stato sociale, della cultura, dell’appartenenza.
Qui siamo tutti uguali davanti al mare, sdraiati sugli asciugamani, coperti da minuscoli indumenti.
Solo i bambini molto piccoli corrono nudi sotto il sole e sguazzano nell’acqua. I loro corpicini sono gli unici che si lasciano guardare con piacere, il resto è quasi orrore.
Non mi rimane che gettarmi nell’acqua che accoglie e nasconde, che circonda e sostiene. E chiudere gli occhi immaginando un’isola deserta.
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