
Di vecchia porosa pietra
con mille impronte
del mio pesticcio,
un balbettio di decisioni.
Quando è più freddo il vento
mi stringo allo stipite
e cerco il fresco e ombroso
angolo
dal sole vendicativo.
Passano formiche e nuvole.
Dentro ci sono cose e suoni,
ci sono lamenti e risa.
E fuori l’aria e il vento,
la pioggia paziente,
le stelle occhiute,
la consolazione del buio.
Questa soglia analizzata
minuziosamente nei suoi
granelli
di polvere,
nello strisciare delle ombre
al tramonto
nelle nicchie di pietra
nei graffi sul muro.
Si sta in piedi a lungo,
a lungo si guarda,
avanti e indietro,
piccola erba
e consunte mattonelle,
su un piede, sull’altro
qualcuno mi troverà
esausta e mi spazzerà
via come un guscio di
chiocciola vuoto
attorcigliato,
oppure salterò nel vuoto,
salterò e volerò,
altro luogo ad abitare
dove tutto è già fatto e
scelto
e come in pellicola colorata
scolorirò ancora
in mano stretta la chiave.
G. da un laboratorio autobiografico
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