
I gemelli diversi
C’era una volta un re che aveva due figli gemelli: Tizio e Caio. Erano assolutamente identici; o meglio, erano molto diversi ma nessuno se ne sarebbe accorto. Su tutto ciò di cui ci si può accorgere, infatti, non c’era nessuna differenza: avevano occhi e capelli dello stesso colore, lo stesso timbro di voce, erano alti uguale, pesavano uguale. E tuttavia erano molto diversi. A certe ore della giornata, uno dei due era affamato o assetato; l’altro invece, alle stesse ore, aveva famee o aveva sete. Uno era assonnato e l’altro aveva sonno, uno era stanco e l’altro aveva stanchezza (nella nostra lingua queste cose non vengono sempre bene, ma nella lingua di quel paese sono chiarissime). Quindi uno aveva molte più cose dell’altro, ma siccome quelle che aveva sono cose che non si vedono e non si toccano (chi ha mai visto il sonno? chi ha mai toccato la fame?) i due sembravano del tutto uguali.
Ora voi direte: se nessuno poteva vedere la differenza tra Tizio e Caio, come si faceva a sapere che c’era? Risposta: una fata dubbia lo aveva detto al re il giorno che erano nati. Le fate dubbie sono quelle che non si sa se sono buone o cattive, e quindi non si sapeva nemmeno se questa cosa che la fata aveva detto fosse buona o cattiva. Né si sapeva se fosse buono o cattivo il modo in cui l’aveva detta. Lei infatti aveva detto che Tizio e Caio erano diversi e che uno avrebbe avuto fame e sete e l’altro no eccetera eccetera, ma non aveva detto chi era quello che avrebbe avuto fame e sete eccetera eccetera.
Un giorno il re si sentì molto debole e pensò che stava per morire. In realtà si era solo lavato i denti con troppa veemenza; presto gli sarebbe passata e sarebbe campato ancora mille e mille anni. Intanto però lui si preoccupava perché non era facile decidere quale dei due gemelli dovesse succedergli. Si voleva che fosse quello che aveva più cose, ma nessuno sapeva chi era. Tizio e Caio furono sottoposti a esami molto scrupolosi da parte di tutti i settantasette savi; li si osservò mentre mangiavano e mentre bevevano, mentre dormivano, mentre parlavano e mentre tacevano, ma non ci fu verso. Quando uno dei due desiderava qualcosa, si sapeva che l’altro doveva avere un desiderio, ma per quanti sforzi si facessero questo desiderio non lo vedeva nessuno, così come nessuno vedeva la malattia che uno aveva quando l’altro era malato, o la tristezza che uno aveva quando l’altro era triste.
Dopo mille e mille anni il re morì senza aver deciso nulla. Di savi ne erano rimasti solo una dozzina: si riunirono e conclusero che la cosa più prudente era far regnare Tizio e Caio un giorno per uno, così almeno per metà del tempo il re sarebbe stato quello che aveva più cose. Sono ormai passati altri mille e mille anni, e Tizio e Caio regnano ancora un giorno per uno e sono sempre identici, o meglio, sono molto diversi ma nessuno se ne accorge.
Ermanno Bencivenga – La filosofia in quarantadue favole
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